martedì 25 aprile 2017

Acc'énti

Come filtro magico usò il caffè
e trasformò la solita favola sdrucciola
in una lieta fiaba piana.
"Raccontacela" dissero gli accenti
che abitano le bisdrucciole
ma lei, fata Grammatica, si girò,
dimenticandosene.
Così offese gli accenti
e le loro curiosità di gioventù
e le parole tronche riempirono città
e non le si rivolsero mai più.


mercoledì 19 aprile 2017

Inaspettata certezza.

Sei tu?
Eccoti dunque
dov'eri nascosta?
Sotto il ghiaccio di passi pesanti
nei bagliori sognanti di sguardi distratti
tra le pieghe di leggeri indumenti
nell'attesa, fiduciosa, di tepori dimenticati.
E ogni volta quel dubbio
pretestuoso, insolente, grottesco
del tuo ritorno.
Ma ora sei qui.
Inaspettata certezza
sospirata magia
risvegliami,
aprimi,
illuminami,
finalmente, primavera!

giovedì 13 aprile 2017

La vita in città è semplice

Bene, dopo solo tre giri dell'isolato sono riuscita a trovare un parcheggio, si due euro mi pare tanto ma ho ben due ore, dovrei riuscire a prenotare quella visita che vorrei fare da tempo anche se la sala d'attesa dell'ospedale fosse piena di vecchietti.
Incredibilmente faccio appena in tempo a rispondere a due messaggi che tocca a me e mi avvicino allo sportello con la prenotazione in mano e la trepidazione per quest'appuntamento che bramo come se dovessi incontrare un principe delle fiabe.  Si perché questa visita avrei dovuto farla a novembre, l'avevo già prenotata da mesi, ma per problemi familiari ho dovuto disdirla e voi non ci crederete ma certe visite si possono disdire ma non spostare o prenotare telefonicamente, forse il computer della Ausl funziona a senso unico! Spingo nella finestrella dell'impiegato il mio plico di fogli, (chissà perché scrivono solo due righe per pagina) e gli regalo il mio sguardo più languido e un doppio battito di ciglia che avrebbe steso qualsiasi barista o commesso. Ma lui non si lascia per nulla impressionare, si vede che i burocrati fanno dei corsi di resistenza appositi e mi fa capire che la mia prenotazione è troppo vecchia per procedere a prendere un appuntamento. Senza perdere l'aria da miss "fanciulla bisognosa quasi in pericolo" gli rispondo che avevo già un appuntamento che ho dovuto cancellare, cosa che ho fatto nei tempi dovuti e che fa di me un' esempio di etica quasi inarrivabile. Il gentile impiegato ne riconosce il valore ma questo mio gesto degno di onore e gloria nei secoli dei secoli ha fatto decadere la validità della mia prenotazione. Però per scrupolo, decide di chiamare la sua dirigente, dottoressa G. (non in medicina, suppongo, credo più in complicazione delle normative di accesso ai servizi e di riempimento di sale d'attesa di svariati studi medici), questa purtroppo conferma il suo dubbio: avendo io disdetto (che disdetta!) la mia precedente visita, ho perduto ogni possibilità di riutilizzare quella prenotazione. Quindi ora non mi resta che tornare dal medico di famiglia, dall'altra parte della città, tenendo conto dei suoi orari, e solo dopo aver ottenuto una richiesta identica a quella che ho in mano (4 fogli) tranne che per la data, potrò ritornare a questo sportello, nell'orario apposito, perché questa visita si prenota solo qui, per tutti gli abitanti di Parma e provincia, forse per la ricca accoglienza che offre agli utenti. Visto che devo fare altri due giri, penso che farò il terzo all'ufficio relazioni con il pubblico per denunciare questa assurdità e chiedo all'impiegato di dirmi gentilmente il nome del suo dirigente e lui mi spiega anche in modo dettagliato dove recarmi per reclamare. Comunque per questo vivace e interessante scambio di visioni ho perso solo venti minuti, quindi decido di fare un giro per i negozi  per rilassarmi e magari ritrovare il sorriso tanto ho ancora un'ora e 40 minuti nel biglietto "gratta e parcheggia". Ritorno alla macchina per avvicinarmi al centro città e mi avvio nel traffico con ammirevole calma, con la radio accesa e i finestrini aperti, entrambi, fa caldo, c'è vento, vuoi vedere che... no, impossibile, il biglietto non può volar via, penso fiduciosa mentre questo scivola dal cruscotto e vola, leggiadramente, fuori dal finestrino.

lunedì 10 aprile 2017

Apprendista eroe

Dell'umiltà so che quando leggevo le fiabe non mi permettevo di immaginarmi principessa, forse per quei condizionamenti familiari che mi attribuivano poca femminilità con il titolo di "maschiaccia", che io, peraltro, ho sempre considerato un complimento.
Nella definizione opposta "femminuccia" leggevo sempre un'accezione negativa, come anche in quella più sessista di "è proprio una femmina" che racchiudeva una miriade di significati con il sottinteso comunque che le qualità femminili portate all'estremo, fossero qualcosa di cui vergognarsi.
Forse per questo mi piaceva identificarmi con l'eroe e avrei voluto esserne lo scudiero (apprendista eroe) per poter salvare le fanciulle in pericolo e insegnare loro, con il mio esempio, a salvarsi da sé; che è più gratificante.
Che poi, chissà perché tutte queste fanciulle perennemente in pericolo secondo la tradizione popolare, come se per le "femmine" qualsiasi situazione potesse essere un problema insormontabile senza la presenza del maschio salvatore.
Eppure eravamo noi bambine ad andare a casa di nonna a prepararle da mangiare quando stava male, o a fare la spesa attraversando strade e affrontando draghi e orchi e tutti i vecchietti che cercavano di saltare la fila rubandoci il posto, perché si sa che i vecchietti sono molto impegnati.
Certo, il fatto di crescere in una famiglia numerosa e piena di maschi era un'occasione per mettersi alla prova continuamente: a chi saliva più in alto sugli alberi, a chi stava più tempo sott'acqua, a chi scalava la collina più scoscesa e spinosa. Il tutto scalzi, naturalmente, per non rovinare le scarpe e per non scivolare perché quando ero piccola io le scarpe da femmina erano solo le ballerine con il fondo piatto e la suola di cuoio.
Per me e le mie sorelle era un vanto riuscire a seguire i fratelli nelle scorribande, tutti magri, neri e piccolini, con i capelli tagliati a scodella, irriconoscibili sessualmente se non per i vestiti fatti dalla sarta che mamma ci costringeva a portare e guai se avessimo sciupato.
Anche il temperamento per un po' ne ha sofferto, negli anni delle elementari non disdegnavo le risse e ne uscivo spesso integra al contrario dei malcapitati che tornavano a casa con la maglietta strappata e del sangue che fuorisciva da qualche parte, ma per fortuna erano i tempi che i genitori non si intromettevano nelle questioni tra bambini.
Molto lentamente sono diventata donna e ancora più lentamente femminile e convinta delle superbe possibilità del mio genere ma non dimentico quello spirito combattivo che mi ha aiutata a crescere.