giovedì 10 novembre 2016

7 vizi

Io, sono! - disse la superbia.
TU, NOO! - disse l'ira.
Non ce la fara' mai. - disse l'invidia.
Per me, e' indifferente. - disse l'accidia.
Si, si, fai tutto tu... - disse l'avarizia.
Finisco di mangiare poi vi dico... - disse la gola.
Comunque io me lo farei. - disse la lussuria.

Che sia uno spettacolo sui vizi? Chissa'...
Che sia uno spettacolo che esalta o condanna il vizio? Chissa'...
Che sia uno spettacolo realizzato da attrici irrimedialmente viziose? Chissa'...
Di sicuro e' molto divertente, come sempre quando c'e' il sapore del peccato senza il pensiero del castigo.
E' un sapore che da' dipendenza; correrete il rischio?

lunedì 7 novembre 2016

Di te senza più me

Dei tuoi discorsi aulici mi diverte il mio fantasticare
sugli spostamenti delle nuvole.
Delle tue narrazioni narcisistiche ascolto
il tuo senso di solitudine.
Dei tuoi vanti insani adoro il mio senso di superiorità
che sorride, indifferente.
Delle tue argomentazioni aggressive e violente riesco a sentire
la tua assoluta mancanza di coraggio nel vivere.
Delle tue cattiverie indistinte mi piace che ho imparato a difendermi.

Amo

Amo.
Amo scrivere.
Amo scrivere che amo.
Amo scrivere che amo scrivere.
Amo rileggere l'amore che scrivo.
Amo l'amore che provo nello scrivere.
Amo di un amore che non riesco a descrivere.

lunedì 24 ottobre 2016

Sotto un cielo mosso

Era come se piovesse acqua di mare,
senza sosta.
Veniva giù piano a sussurrare una storia
 e poi forte per tenerla viva così
da non esser una noia
e diventare un'opportunità.
Intorno a loro era buio e fragoroso
e non se ne accorgevano
pareva un castello quella pensilina
caldo ed accogliente.
Lui la guardava come se da lei 
dipendesse tutto,
il futuro, il senso della vita,
la direzione del vento e delle maree.
Lei lo osservava con lo sguardo assorto 
come se sapesse
cosa provava ogni singolo istante 
e con la meraviglia di ritrovarsi 
nelle stesse emozioni.
Si misero più vicino a delimitare
un perimetro dai confini 
di ondate mutevoli di sentimenti.
E quella pioggia altro non era che un mare
che provava a scegliere dove stare,
come quei due che per non bagnarsi
finirono per innamorarsi.

Gli amori di settembre profumano d'infinito.


domenica 23 ottobre 2016

Contraddizione, femminile, singolare

Sono una feticista; di pensieri.
Adoro discutere con chi mi capisce al volo.
Se iniziate una frase con "se" smetto subito di ascoltarvi.
Non ascolto neppure chi comincia le frasi con una negazione.
Il mio essere incostante è una delle mie poche certezze.
Le mie mancanze aggiungono quel "non so che" alla mia personalità.
Sono piena di vuoti.
Al vizio di forma preferisco il vizio in ogni sua forma.
Ho i sensi di colpa anche per i miei peccati immaginari.
Ho capito subito di essere tarda di comprendonio.
Adoro le coincidenze ma preferisco provocare le occasioni.
A volte non si può fare altro
che passare oltre.
La verità è farsa.
La verità è forse.


Nonsense

Temere il dissenso.
Ottenere il consenso.
O tenere un senso 
propenso al nonsense.
Ci penso.

sabato 22 ottobre 2016

Le nonne

Tante gonne nere o a fiorellini piccoli, una sopra l'altra, la bocca arcigna, i capelli raccolti, severi, l'acquavite sul comodino, ché un bicchierino prima di dormire fa bene, il primo giro in taxi, i commenti astiosi su chiunque incontrasse, i viaggi in macchina con il finestrino aperto un solo millimetro, anche in agosto, perché l'aria le dava fastidio, le vacanze al mare con la musica al minimo e non si poteva ridere troppo per non disturbarla; la nonna non buona.

Le sedie impagliate, il camino, sulla tavola sempre qualcosa da mangiare ed il vino, le caramelle nella tasca del grembiule, la crocchia grigia, le guance rosse rotonde, morbide da baciare, sempre un sorriso anche quando stava male, le galline nella stanza di su, dalla scala a pioli, e ci spiegava come chiamarle, il bagno fuori; nel cortiletto, da attraversare di corsa quando pioveva, con poca luce, che faceva paura andarci, anche di giorno, poche cose da guardare nella bassa casetta, un rosario, vecchie foto, la cassetta del cucito e le mille domande a cui non si stancava di rispondere, l'incidente per andare a casa sua, che mi aveva fatto innamorare dei biscotti "di velluto". Mi aveva insegnato a fare la maglia per fare i vestiti alle bambole, la nonna buona.

Siete state con me troppo poco per insegnarmi la vita; care nonne, ma di sicuro avevate due modalità opposte di affrontarla, ed io ho scelto la mia.

martedì 18 ottobre 2016

Autunno

Cadono le foglie e il mio umore.
Si spengono le giornate e i sorrisi.
Un misto di odor di bosco e terra bagnata
 impregna l'aria e la rende pesante.
L'umidità appiccica ogni cosa, ogni casa, ogni strada.
Aumenta, solo, la malinconia 
lenta, strisciante, inesorabile 
e porta con sé il profumo del té caldo 
biscotti e fuoco nel camino 
che arrossa le guance e scalda nel profondo.
Luce, dove sei?
Ritorna ad illuminare il giorno 
e tutti, attorno.
La nebbia mi distrae e perdo il tuo ricordo.
Dell'autunno mi piace che ha i giorni contati.

lunedì 3 ottobre 2016

Volevo solo fare shopping!



Personaggi: la mamma (m), il padre (p.),

              la figlia Alice (f.), il figlio Mirko (M.)

                   

La mamma entra in scena sorridente, canticchiando, sistema i cuscini del divano in cui è sdraiata la figlia adolescente

m-  Finalmente ho finito di pulire, ora esco e vado a fare un po' di shopping che non ho più niente da mettermi…

f.- Ma mamma hai l’armadio pieno

m- Si ma sono stanca dei soliti jeans, vorrei dei vestiti e delle gonne svolazzanti in cui sentirmi comoda e a posto in ogni situazione come se fossero jeans!

f. – Ma esistono?

m- Sono sicura di si, devo solo trovarli

Driiiin driiin (suona il telefono)

m (risponde al telefono) – Pronto? Ciao mà, tutto a posto? …(Ascolta) Si tutto bene, stavo per andare a fare shopping… si, ne ho già 13 paia infatti andavo a cercare qualcosa di più femminile… Non è vero che l’ultima volta che ho usato la gonna avevo 13 anni, non ricordi il mio vestito da sposa? Che c’entra se mi sono sposata una volta, ne avevo provati 15 prima di trovare quello giusto… Non è necessario usare i tacchi con la gonna, si può portare benissimo anche con gli anfibi e poi posso sempre imparare come ho fatto con i pattini… no non mi avevano ingessato per quella caduta, comunque perché mi hai chiamato? Ah ok, allora passo davanti al supermercato e te li prendo ma che ci devi fare con i cetrioli? Mamma?... Ah una maschera idratante per pelli mature, certo… no mamma,   io non ho  la pelle matura, non è vero che bisogna prevenire, la mia pelle maturerà a prescindere, ok a dopo, ciao.

f.- Certo che la nonna ha una fiducia nelle tue capacità atletiche, chissà come mai… (ridacchia)

m-  Non saprei solo perché da piccola ho distrutto due biciclette prima di imparare ad andarci ma dove ho messo la borsa?

f.- Mamma esci vestita così’ ?

m-  Certo; i jeans sono l’ideale per andare a fare shopping anche perché non ho ancora il vestitino femminile e comodo adatto che andrò appunto a comprare.

Driiinn driiin (ancora il telefono)

m–  Si, ti ho già detto che te li porto i cetrioli… oh salve capo, non mi disturba affatto… si ho già mandato le pratiche ai fornitori ed ora stavo uscendo per fare un po' di shopping, ah, trova che sia una buona idea? Come mai? Troppo informale!? Ah l’unica cosa che non apprezza è l’abbinamento gonna-anfibi? Ah si, ha ragione che tale mancanza di fantasia e spirito di adattamento, ma si figuri, certo che so portare i tacchi…è che finora non ho avuto modo di sfoggiarli, oh si, rimedierò, grazie del consiglio… e vuole una copia degli ordini evasi, certo, ho già il pc acceso, bene, la saluto.

f.- Mi sembra che il tuo capo apprezzi la tua idea di cambiare look…(sorride).

Entra il figlio piccolo, Mirko e dice – Mamma mamma dove vai? Cosa mi compri?

m-  Amore la mamma va a comprare dei vestiti e delle gonne ma mi fermo in edicola e ti compro un bel giornalino, ok?

M. – La gonna? Quella delle femmine? Ma tu la sai usare?

m- Certo che so “usare” la gonna, la usavo spesso da ragazza (si china ad accarezzarlo sulla testa)

M. -Vuoi dire che prima di conoscermi usavi la gonna? E poi come mai non sei più riuscita ad usarla?

(Ridono tutti)

m-  Tesoro sai che la mamma è sempre di corsa, oltre a voi, la casa ed il lavoro c’è da fare la spesa, andare in posta, ecc. ecc. e con i jeans mi preparo in un attimo, ora per esempio, volevo godermi due ore tutte per me invece mi fermerò a prendere i cetrioli per la nonna ed il giornalino per te.

M. – Oh non ti disturbare per il mio giornalino, mi accontenterò di un giocattolo… (e si allontana soddisfatto)

m- Questa storia che nessuno si ricorda di avermi vista con la gonna è incredibile, devo avere qualche foto che lo provi…

Entra il padre/marito e la bacia sulla guancia – Ciao tesoro, io mi ricordo quando hai usato la gonna qualche volta e di come sei tornata a casa senza…

f.- Cosa cosa???

(Lei arrossisce e si fa piccola piccola)

p.- Sai, Alice, un giorno, prima che voi nasceste, siamo andati a fare una gita in campagna…

m- Così, all’improvviso, non ero preparata, abbiamo camminato tanto e mi era venuta fame…

f.- E hai usato la gonna per costruire una trappola per catturare qualche animale?

p. -Ma nooo, abbiamo trovato le more e la mamma ha cominciato a raccoglierle e mangiarle e si addentrava sempre di più nel cespuglio di rovi e quando ha provato ad uscire, straaap, la gonna è rimasta là…

(ridono tutti)

m- E tu non eri per niente contrariato, anzi!

p.- Infatti, dopo nove mesi sei nata tu, Alice! E ricordo che avevi la gonna anche quando siamo andati a dormire in tenda…

f.- E dove eravate quella volta?

p.- Sempre in campagna e dopo aver piazzato la tenda e acceso il fuoco, stavamo arrostendo le salsicce, la mamma le girava, c’era vento e alcune scintille finirono proprio… indovina dove? Sulla gonna della mamma che la tolse in un attimo, potrebbe vincere la medaglia d’oro di velocità nel togliere la gonna (sguardo sornione verso la moglie).

f.- Si direbbe una vera e propria intolleranza alla gonna!

p.- E indovina un po': nove mesi dopo è nato Mirko! (il fratellino).

f.- Mamma, (con aria preoccupata) sei sicura di voler usare ancora la gonna?


sabato 1 ottobre 2016

La vita riposa

Che importa se il sole tramonta
che importa se ho i brividi freddi
che importa il buio che avanza
se ho dentro i sorrisi di chi amo
se ho dentro il calore della sabbia
se ho dentro i colori del mare
se ho te da chiamare ogni volta
che mi sento felice o in tormenta.
L'inverno ritorna di certo
si annuncia con umide spire
la sua gelida morsa che avvolge
e la vita si chiude e riposa
ricordando con aria di stupore
giornate lunghe, bollenti, lontane
come non fossero mai accadute
se non in sogno o in altre vite.
E' l'inverno che torna; là fuori
ma non riesce a raffreddare i cuori.

mercoledì 28 settembre 2016

Ciao colleghe


Ammetto che sia stata solo mia

per quella inquieta voglia che mi assale

la decisione di lasciarvi, andare via

per mettermi sempre alla prova, dimostrare

(per quanto non sia priva di malinconia)

laddove nessuno sa se il mio nome "vale".

 Abbiamo vissuto tempi duri e di pazzia

 e fatiche da non poter dimenticare

 e superarli insieme è stata una magia

 ci ha fatto crescere, divertire, arrabbiare.

 Ho voglia di lasciarvi una poesia

 perché abbracci e sorrisi ancor vi posso dare

 e la certezza che dall'anima mia

 nessuno vi potrà mai cancellare.laddove nessuno sa se il mio nome "vale".
Abbiamo vissuto tempi duri e di pazzia
e fatiche da non poter dimenticare
e superarli insieme è stata una magia
ci ha fatto crescere, divertire, arrabbiare.
Ho voglia di lasciarvi una poesia
perchè abbracci e sorrisi ancor vi posso dare
e la certezza che dall'anima mia
nessuno vi potrà mai cancellare.
laddove nessuno sa se il mio nome "vale".
Abbiamo vissuto tempi duri e di pazzia
e fatiche da non poter dimenticare
e superarli insieme è stata una magia
ci ha fatto crescere, divertire, arrabbiare.
Ho voglia di lasciarvi una poesia
perchè abbracci e sorrisi ancor vi posso dare
e la certezza che dall'anima mia
nessuno vi potrà mai cancellare.

domenica 4 settembre 2016

Un vecchietto


C'è un vecchietto che si consuma lentamente, il suo corpo si riduce, il suo spirito è forte nella sua decisione di smettere di lottare.
Ogni tanto si distrae da questo proposito ed emerge la sua voglia di raccontare.
Chissà se è il suo corpo malato a suggerire la resa o è il suo spirito ad accelerare la consunzione. Si rifugia in brevi momenti di non-lucidità come a difendersi dalla vita o a trovare una giustificazione alla sua resa. Ha fatto di tutto in 85 anni, ha avuto tutto quello che voleva contando sulle sue forze, ha smesso di desiderare e di costruire.
Ora può solo raccogliere l'affetto di chi ha intorno.

Si sveglia di notte per andare a pagare le bollette o a lavorare e sa ridere di sé e dei suoi momenti bui.  Ha la bocca impastata e i suoi farfugli e deliri confondono ma non nascondono un grande babbo; è sempre lì, tra la pelle sottile e le ossa gelate con le sue imprecazioni e i sorrisi sdentati.
Di giorno non si capisce quello che dice e di notte ogni frase è più chiara come se la coscienza fosse più vicina al delirio nell'umidità dell'aria notturna.
E' nato in un epoca in cui non si usava manifestare l'affetto e non credo che avrebbe mai immaginato di ricevere tante carezze e cure come merita e come sta vivendo ora.
Come si fa a salutare un genitore?
Come si fa a lasciarlo andare?

Forse non puoi più raccontarci della tua vita incredibile allora potremmo farlo noi per te, babbo.


venerdì 19 agosto 2016

Il lupo raccontastorie

Il vecchio lupo dimagriva a vista d'occhio, non mangiava da giorni.
Ogni volta che trovava una preda; che fosse una lepre, un ghiro, un cerbiatto, cominciava a raccontare storie, racconti, piccole avventure e non pensava affatto di mangiare chi lo ascoltava con interesse.
Gli animali all'inizio lo guardavano con sospetto pensando "ma come, questo lupo non cerca di mangiarmi? Forse è un trucco che usa per evitare che le sue vittime cerchino di scappare?"
Intanto ascoltavano con aria attenta e si appassionavano alle vicende dimenticando ogni timore.
Nel bosco si era sparsa la voce di questo lupo raccontastorie e alcuni animali presero l'abitudine di tornare da lui, regolarmente, per ascoltare le sue narrazioni, ne aveva sempre di nuove da raccontare, non si ripeteva mai, a meno che qualcuno gli chiedesse una storia in particolare e lui la raccontava sempre con le stesse parole, come se l'avesse imparata a memoria.
Ogni volta che qualcuno andava a trovarlo lo trovava sempre più magro ma con la stessa voglia di chiacchierare. Un giorno si presentò da lui mamma cerbiatta con una pentola di stufato di lenticchie e patate; delizioso, insaporito con sedano e mentuccia del bosco.
Il lupo si schermì, non poteva accettare, non voleva dare disturbo e togliere lo stufato di bocca ai cerbiattini e poi lui era un vero lupo carnivoro. Mamma cerbiatta non si arrese:- Su dai, c'è anche la pancetta saltata, assaggia una cucchiaiata poi potrai raccontare ai miei cerbiattini la storia della fava cattiva e dei tre piccoli pisellini...
Il lupo, docile, assaggiò e come succede a volte, che ci si rende conto di ciò di cui avevamo bisogno quando lo troviamo, si accorse di avere una gran fame e finì in fretta tutto lo stufato. Allora i cerbiattini, che attendevano poco lontano, arrivarono di corsa e si misero comodi intorno al lupo ad ascoltare chissà quali meraviglie.
A volte capitava nel bosco anche qualche bambino e il lupo riusciva a "catturare" anche la loro attenzione. In questi casi però arrivava sempre qualche umano adulto ad interrompere il racconto e a trascinare via i piccoli per il terrore che quella belva li divorasse.
Il lupo non riusciva a farsi capire dai grandi, quelli sentivano i suoi ululati e fuggivano di corsa nonostante le proteste dei bambini "no, no, devo sentire come finisce la storia!"
Figuriamoci se potevano credere che un lupo potesse parlare ed i loro pargoli potessero capire il suo linguaggio. Anzi, gli abitanti del villaggio, vicino al bosco cominciarono ad essere preoccupati di quella presenza e ad accusarlo della sparizione di galline e animali domestici.
Non potevano immaginare che ogni giorno invece, il vecchio lupo intratteneva decine di animali di ogni specie, questi poi si erano messi d'accordo per portargli ogni volta qualcosa da mangiare per ringraziarlo dei momenti felici che regalava loro. Lo scoiattolo una volta gli portò una bellissima collana di nocciole che il lupo indossò perchè era un pò sdentato e non riusciva a mangiarla e per ogni nocciola gli "snocciolò" una filastrocca.
Il riccio gli preparò la zuppa di scarafaggi, zucchine e misticanza, fresca e corroborante, ma gli scarafaggi non erano ben cotti e alcuni scapparono dalla pentola.
La volpe si presentò una domenica con spiedini di vipera e peperoni, una vera squisitezza e in quell'occasione il lupo gli raccontò la storia dei serpenti nel paradiso paludoso che furono tentati da un uomo con una caviglia pelosa ma riuscirono a resistere grazie ad una fila di processionaria.
Un pomeriggio, il lupo stava pulendo il sentiero che portava alla sua tana, raccoglieva le pigne ed i rametti e li accatastava in graziosi mucchi, spostava le pietre più grosse e con quelle piatte formava una comoda pavimentazione davanti alla soglia.
Arrivò un bambino, avrà avuto quattro o cinque anni, non di più e non sembrava spaventato, anzi, gli chiese se poteva accarezzare la sua bella coda folta, il lupo acconsentì e cominciò a raccontare la storia dei pipistrelli che realizzarono gli occhiali da sole con foglie di eucalyptus e bava di lumaca per uscire anche di giorno e poter contare le righe gialle e nere delle vespe per via di una scommessa fatta al "Foxy bar". Il bambino ascoltava rapito e non sentì la voce dei genitori che chiamavano:- Enrico...
Enrico... Il lupo, un po' sordo e un po' assorto nel  racconto non ci fece caso anche perché lui non sapeva che si chiamasse così, lui lo chiamava semplicemente: bimbo.
Ma i suoi genitori lo videro e da lontano pareva che il lupo, così infervorato, volesse fargli del male.
Il papà aveva il fucile e sparò un colpo in aria, il lupo si rifugiò nella tana e Enrico fu trascinato via, lontano da quel lupaccio cattivo e a nulla servirono le sue proteste, sul fatto che il lupo era buono e raccontava bellissime storie.
Quell'episodio scosse tanto gli abitanti del villaggio che si riunirono e decisero di catturare il lupo per evitare che altri piccoli innocenti cadessero nelle sue grinfie. Organizzarono una spedizione e un mattino presto tutti gli uomini del villaggio partirono con fucili e bastoni e una grossa gabbia di canne intrecciate a prova di lupi feroci.
Tutti insieme non faticarono a catturare il vecchio lupo che non smetteva di provare a parlargli ma quelli sentivano solo modulati ululati.
Caricarono la gabbia sul carro e la portarono al villaggio in attesa della riunione per decidere come liberarsi di quella orribile belva.
Gli animaletti del bosco avevano osservato tutta la scena e avevano seguito con discrezione il chiassoso corteo; il riccio aveva provato a bucare le ruote del carro ma quelle erano di legno.
Gli scoiattoli avevano lanciato ghiande e nocciole con tutta la loro forza ma avevano colpito anche il lupo. I castori avevano fatto crollare il ponte sul torrente e gli uomini avevano incastrato la gabbia tra le due rive e vi si erano arrampicati sopra per attraversarlo ed il lupo aveva rischiato di affogare.
I cerbiatti avevano provato a fermare il gruppo fingendo un'aggressività che non aveva convinto nessuno di quegli uomini abituati a discutere con suocere ed impiegati delle poste.
Così ora, il povero lupo era ingabbiato al limitare del paese e subito si sparse la voce tra tutti i bambini che lo osservavano incuriositi e dispiaciuti da dietro le finestre.
Il lupo si sentiva davvero triste, era imprigionato, innocente e incapace di farsi capire dai suoi carcerieri. Quando fece buio la volpe gli portò un po' del suo cibo preferito; spezzatino di gallina con purè di carote e zucca al rabarbaro e rimase un po' con lui a fargli compagnia.
Più tardi arrivò Enrico per vedere se era il suo amico raccontastorie e appena lo vide lo salutò con affetto tirandogli la coda e le orecchie e gli chiese di raccontargli la fine della storia  interrotta bruscamente dai suoi genitori. Il lupo si scrollò e attaccò subito con il racconto ma a Enrico non piaceva vedere il suo amico tra le sbarre allora aprì la gabbia ed entrò anche lui sedendoglisi accanto.
Dopo un po' arrivò un'altra bambina che aveva visto Enrico sgattaiolare fuori di casa a quell'ora tarda e si mise seduta anche lei dentro la gabbia ad ascoltare le meravigliose parole del lupo.
Poi arrivarono due gemelli della casa vicina al bosco ed entrarono anche loro stringendosi vicini vicini.  Si unirono alla piccola compagnia due ragazzine che si accomodarono fuori dalla gabbia, dentro la quale non entrava più nessuno, arrivò anche una famigliola di ricci e le lucciole illuminavano i racconti della sera.
Passavano le ore e nessuno tornò a casa, dopo gli affascinanti racconti si erano addormentati serenamente, anche il vecchio lupo.
I genitori si accorsero che i bambini erano scomparsi dai loro lettini e cominciarono a cercarli casa per casa rendendosi conto che non erano casi isolati, infatti il numero di adulti preoccupati cresceva sempre di più, qualcuno prese il fucile, qualcuno prese una torcia e vagavano dalla piazza alla discesa per i carretti, dal pozzo al campetto dei giochi ma senza risultato.
Quando arrivarono al limitare del bosco gli ritornò in mente il lupo e andarono a controllare se la gabbia fosse ben chiusa e non potete immaginare la loro sorpresa nel trovare la gabbia aperta, i ragazzi addormentati dentro e fuori, e il piccolo Enrico che russava dolecmente abbracciato al vecchio lupo.
Allora finalmente si resero conto dell'innocenza e della bontà d'animo del vecchio lupo e da quel momento decisero di proteggerlo e prendersene cura come di un caro amico, fu lasciato libero di tornare alla sua tana che fu segnalata da un cartello colorato "tana di lupo raccontastorie".
I bambini avevano il permesso di andare da lui ogni volta che volevano e gli portavano da mangiare, una sciarpa di lana fatta dalla nonna per l'inverno, i copriorecchie e le caramelle balsamiche per la gola affinchè non si stancasse mai di raccontare.
Ma questo non era proprio un problema.

lunedì 8 agosto 2016

Incontri ravvicinati di brutto tipo

Sono in vacanza in una piccola citta' vicino al mare, in una zona paludosa e salmastra, spesso misteriosa e sinistra.
La casa e' al piano terra verso la periferia, vicino ad un grosso canale di irrigazione; credo che gli argini di quel canale abbiamo visto i piu' orrendi accadimenti.
Il quartiere sembra tranquillo e sicuro, persone rispettabili e ampie zone "verdi". Per verde qui si intende il giallo secco e polveroso tipico dovuto al sole e al maestrale che qui hanno il domicilio fisso.
E' notte; grazie alla lieve illuminazione si vedono le stelle e si sentono versi di animali diversi e misteriosi.
Devo portare fuori il cane; il mio dobermann mi fara' buona guardia, prendo guinzaglio e chiavi e mi avvio alla porta.
Non occorre chiamare il cane, mi saltella intorno da quando ho preso in mano il guinzaglio.
Apro la porta e mi fermo impietrita con un leggero tuffo al cuore. C'e' un essere orribile che mi guarda, sono sicura che mi guarda anche se non vedo i suoi occhi, troppo piccoli e ravvicinati.
Ho sentito dire che chi ha gli occhi ravvicinati tende alla crudelta' e non riesco a muovermi. Il cane (che guardia!) non si accorge di nulla e parte spavaldo nel buio della notte. L'essere mi studia come io studio lui; continuiamo a guardarci e questa scena dall'esterno potrebbe anche sembrare romantica.
Il mio cervello va a ricercare a tutta velocita' la procedura adatta da adottare in questi cosidetti casi. Ci sono!
Mia sorella piu' grande mi ha raccontato piu' volte (lieve principio di Alzheimer) come fare.
Cerchero' di comportarmi esattamente come lei, urlo con tutte le mie forze:- Gianlucaaaaa!
Casualmente suo marito si chiama cosi' ma credo sia proprio una parte importante della procedura di difesa ed annientamento dell'essere immondo. Poi mi precipito a prendere lo spray alla candeggina nel mobiletto sotto al lavello. Curiosamente il mostro orribile non cerca di saltarmi addosso per difendersi ma si limita ad avanzare lentamente lungo il muro.
Lo raggiungo in due salti e pfff...
Gli spruzzo addosso due terzi del flacone (che in realta' era quasi vuoto) ma quello non reagisce come immaginavo. Pensavo che si sarebbe dissolto nel liquido o almeno affogato invece si limita a rovesciarsi sulla schiena e muovere ancora quelle orribili zampine. Il mio dobermann si comporta allo stesso modo quando vuole le coccole, questo non me lo sarei mai aspettata da un individuo appena incontrato.
Gliene spruzzo addosso ancora un po' tanto per essere sicura ma quello si rifiuta inspiegabilmente di morire.
Non ho nessuna intenzione di fare come nei migliori film americani e avvicinarmi per controllare il respiro.
Prendo scopa e paletta e lo accompagno gentilmente oltre la porta poi guardo a destra e a sinistra, nessuno in giro, lancio l'essere orribile in mezzo alla strada e lo abbandono senza remore.
Arriva un'auto in velocita'; mi nascondo dietro il cancello (...) per osservare la scena senza poter essere incriminata e finalmente la vedo morire schiacciata dalle ruote la maledetta blatta!

sabato 6 agosto 2016

Sott'acqua

Guardo il mare da sotto.
Guardo l'onda che muove veloce verso la riva,
si gonfia anche sotto 
sinuosa sinusoide.
Guardo l'ombra che pare volare
inseguita da paure immaginarie.
Guardo le bolle gorgoglianti 
lente e silenziose 
prima di riunirsi a quelle in superficie.
Guardo la sabbia che si innalza 
in sottili pinnacoli prima di esplodere; 
risucchiata con forza dall'onda potente.
Guardo cambiare il colore dell'acqua,
mischiare il turchese con il bianco
con pennellate impazzite di gioia.
Sento la forza del mare
che mi porta dove vuole
rombando e sbattendo
rimarcando chi comanda
"affidati a me; ti porto io".
Ti guardo, ti sento
ti ascolto e ti rispetto
come figlia devota,
come donna innamorata.

martedì 26 luglio 2016

Schiuma di mare

Zitti, zitti, voglio ascoltare il mare.
Sembra aver tanto da dire;
non a tutti, certo,
sceglie con cura 
e non sempre racconta una storia.
Con piccole onde e sbuffi di bolle
sussurra:- Siediti qui 
Alza il tono e il volume e la schiuma
e la sua onda rimbomba.
Vieni dentro, ti prendo,
ti abbraccio, ti sostengo
tu non eri terra portata dal vento
eri schiuma,
eri la mia corrente.
Vieni, torna a casa.

giovedì 21 luglio 2016

Sensi d'estate

Ciuffi di verde brillante si affacciano spudorati tra il ramato di arbusti spinosi e il giallo vivo dell'erba secca.
Ritrovo i colori.
Profumi selvaggi riempiono l'aria, frutta matura da sciogliere in bocca; ritrovo i sapori.
Attraverso correnti di acqua gelata fluttuando su e giu' in un silenzio composto, un tempo indefinito, un luogo sempre uguale e in continuo movimento.
La pelle si fa ricettiva, avvolta e coinvolta nell'antico piacere; nel mare che lava fatiche e paure, nel vento che asciuga soffiando con forza.
Ritrovo carezze.
E' piena estate dei sensi.
Ritorno a casa con la faccia salata.

giovedì 14 luglio 2016

Controsenso

Forte come la terra, dopo il temporale.
Fredda come il mare,
in tempesta.
Calda come la luce,
della luna.
Calma come una nuvola,
di vespe.
Dolce,
come il succo di mandorle.
Arresa come la pioggia.
Bella come la vita.

Infanzia che fu, non tornare mai più.

Puoi avere messo da parte un bel po' di titoli, puoi svolgere il mestiere che sognavi, raggiunto dopo anni di tentativi, dopo aver superato concorsi pieni di concorrenti agguerriti, puoi aver cresciuto un figlio quasi da sola, puoi aver raggiunto un'età di tutto rispetto ed essere serena ed equilibrata nei rapporti con gli altri, ma se tua madre ti fa notare che sei spettinata puoi sentirti ancora come una bambina.
Per mia madre era un vanto il fatto di avere tanti bambini sempre puliti ed in ordine, pettinati, composti e beneducati nonostante il numero (8). Quando qualche cliente del negozio lo faceva notare a lei o a mio padre era tutto un rossore, un sorridere senza schermirsi, con l'orgoglio di chi dava valore, prima su tutto, alla famiglia.
Fare famiglia significava, a casa mia; avere tanti bambini, sani, possibilmente belli ma soprattutto bravi, cioè obbedienti e rispettosi, non era solo un'apparenza di facciata, i miei genitori ne erano proprio convinti.
Noi figli ci rendevamo conto che questo andava spesso a discapito di quello che volevamo fare ed essere noi piccoli, e c'era sempre quella frase che non spiegava niente e non ci consolava assolutamente "quando sarai grande capirai".
D'altra parte da un certo punto di vista c'era molta più libertà di ora, noi, una volta lavati, vestiti e pettinati, potevamo stare fuori a lungo senza essere rintracciabili se non dalle vicine e dai conoscenti dei miei genitori, che per il fatto di avere un negozio erano "famosi" in tutto il paese.
Con i bambini della via (i primi amici) facevamo gare di corsa, ruote, verticali, salti, arrampicate su alberi e pali e cartelli stradali, tutte quelle attività che si facevano senza giocattoli, non era da tutti possedere biciclette o pattini o skateboard, ma non era un grosso problema.
Ricordo pomeriggi infiniti a giocare con una canna lunghissima che facevamo ruotare in terra e dovevamo saltare secondo diverse regole inventate lì per lì, o partite a palla prigioniera e palla avvelenata che si svolgevano per l'intero quartiere sempre con la partecipazione minima di dieci bambini.
Insomma, potevamo fare di tutto, bastava semplicemente tornare a casa più o meno interi (altrimenti c'era il rischio di prenderle), quindi non ci si lamentava mai di graffi, sbucciature e contusioni varie, e possibilmente con i vestiti integri che sarebbero poi così passati ai fratellini più piccoli.
A mano a mano che si cresceva i nostri genitori richiedevano maggior impegno nelle faccende domestiche e, a seconda del sesso, anche in quelle extra; i miei fratelli maschi aiutavano babbo nell'orto e noi ragazze imparavamo a "gestire" i lavori per diventare delle esperte padrone di casa; la massima aspirazione femminile consentita ai miei tempi e luoghi (il luogo di nascita è fondamentale! Ricordarlo prima di reincarnarsi).
Insomma un'infanzia quasi idilliaca, il quasi è riferito ai pochi soldi ma anche questa è un'affermazione fatta dal di fuori, in quanto bambini, in quanto parte di quella comunità così chiusa e adeguata alle stesse "indicazioni di vita" non era un dato da noi rilevabile, non eravamo abituati a chiedere, non eravamo martellati dalle pubblicità e non avevamo quasi mai fame.
Tornare a casa per i pasti era imprescindibile; era lo spazio per "fare famiglia", il momento di condivisione delle vicende e di eventuale rimprovero nel caso ci fosse qualcosa da confessare o comunicare al babbo giudice-maximo e dispensatore di sguardi severi che facevano passare per sempre la voglia di ripetere certi comportamenti.
La parte difficile dell'infanzia è lasciarla.
C'è la spinta interna alla ribellione e alla ricerca dell'affermazione di sé, e ci sono i genitori che tendono a non riconoscere quella spinta ed il proprio figlio/a, in quell'individuo che non sa ancora cosa vuole e cos'è ma sa benissimo cosa non vuole più essere; piccolo, remissivo, ininfluente.
Ad un certo momento non basta più lo sguardo del genitore che ci spiega la realtà; vogliamo trovare il nostro punto di vista e le nostre giustificazioni e diventare autonomi.
Io questa spinta l'ho sentita prestissimo, forse perché donna quindi impossibilitata a fare qualsiasi esperienza al di fuori del nostro nucleo familiare, mentre i maschi potevano fare sport, uscire dopo cena, alzarsi senza sparecchiare e rifare i letti; le femmine dovevano mantenere un comportamento decoroso quindi rientrare a certi orari, da scuola o dal lavoro o dalla chiesa o da "sotto casa".
I miei genitori non sentivano ragioni, secondo loro non c'era bisogno che una figlia facesse sport di alcun tipo, quindi era preclusa la frequentazione di centri sportivi o palestre, non era prevista l'educazione musicale (riservata ai soli maschi che facevano parte della banda del paese) ed era disdicevole in genere essere viste troppo "in giro" .
Tutti gli sforzi che loro concentravano sulla nostra educazione virtuosa facevano aumentare in me la spinta verso un'idea d'indipendenza assoluta dal genere maschile da femminismo post sessantottino.
Il primo passo sarebbe stato quello di studiare, non era una fatica per me, mi era sempre piaciuta la scuola, la possibilità di incontrare persone al di fuori della cerchia familiare e confrontarsi sui diversi stili di vita e sui massimi sistemi ma anche sulle semplici storie ed abitudini dei paesi vicini.
Il passo successivo e decisivo sarebbe stato quello di trovare lavoro, anche questo non sembrava un grosso scoglio per quel periodo, ma io volevo di più, volevo uscire dalla bolla di conformismi che rendeva così difficile, per una donna, affermare il proprio pensiero.
Non mi sarei accontentata di un mezzo risultato.
I miei genitori non si sarebbero accontentati di una mezza decisione.
Misero alla prova la mia voglia di autonomia:- Vuoi andare a vivere da sola? Allora comincia a lavarti tutto il bucato da sola, a mano! Vuoi andare via di casa? Le brave ragazze vanno fuori di casa solo se sposate!
Che messaggio era per una poco più che adolescente cresciuta dentro un paese-bozzolo in cui ognuno aveva il proprio ruolo predefinito e guai a tirar fuori una sfaccettatura personale? Avrei dovuto sposare il primo che avrei incontrato e tenermelo tutta la vita per non sporcare il buon nome della famiglia.
Magari vivere sempre nel paese o comunque nei dintorni dove avrei potuto tranquillamente insegnare ai miei figli le stesse regole di convivenza civile in modo da assicurare al mondo un'altra generazione di immobilismo.
So che sembra una storia d'altri tempi ma vi assicuro che non sono centenaria.
Questi tentativi di condizionamento stavano minando la mia impressione di famiglia perfetta, felice, si, ma solo quando i figli si comportavano esattamente come indicato dai genitori, una felicità a senso unico insomma.
Babbo e mamma non si capacitavano dei miei desideri espressi; ma come, era così giudiziosa ed obbediente da piccola...
"Giudiziosa" è una parola-trappola, sembra un apprezzamento positivo invece è un condizionamento;
sei giudiziosa solo finché ragioni come me, poi diventi irragionevole, scriteriata, è un confine davvero labile.
Comunque un bel giorno andai via di casa, mia madre colta da un residuo di dovere "del corredo" mi diede qualche asciugamano nuovo, mio padre andò a lavorare prestissimo senza salutarmi e non mi parlò per un anno intero.
Ero diventata una poco di buono andando a vivere con il mio uomo senza sposarmi, il mio gesto avrebbe infangato il buon nome della Famiglia che dal quel momento sarebbe potuta diventare oggetto di scherno e dileggio da parte degli abitanti del paese, tutti così virtuosi ed esemplari.
Ho messo circa 800 km tra me e il mio paese d'origine pieno di esempi irraggiungibili.
Chissà però come sarei diventata se non avessi avuto tutto quei confini, quei "paletti" entro cui muovermi con pochissime possibilità di fuga, forse non avrei avuto quel desiderio di libertà e di indipendenza che ha caratterizzato la mia vita, forse non avrei fatto tante di quelle cose per cui sono così fiera oggi.
Forse mi sarei adeguata, avrei fatto più esperienze da ragazza ma senza godermele fino in fondo, dandole per scontato e poi avrei avuto meno voglia di farne altre o di impegnarmi al massimo.
Forse sarei rimasta sempre in quel piccolo paese senza poi credere tanto in me stessa perché non avrei fatto niente di diverso rispetto alle generazioni precedenti.
Forse invece sarei stata uguale ma avrei fatto solo meno fatica, chi può dirlo, so solo che ci sono due frasi che non sopporto più di sentire:
1) da grande capirai (anche se non riferito più a me)
2) si fa così perché abbiamo sempre fatto così.
La mia infanzia, di cui ho un ricordo stupendo, mi ha dotato di tanta voglia di conoscere e spirito di avventura; due ali perfette per volare verso l'età adulta, lo "strappo", fisiologico, è stato forte e per questo non posso che scusarmi e ringraziare chi mi ha accompagnato...
Grazie mamma, grazie babbo!

lunedì 11 luglio 2016

Pace e tempesta

Tu pensi che io ti stia aspettando in questa calda domenica d'estate mentre svolgo lentamente le faccende di casa per darle un'impronta di freschezza.
Credi che ti aspetti mentre, tra un lavoro e l'altro, do un'occhiata al telefono per leggere un tuo eventuale messaggio, per trovare un fugace saluto.
Credi che pensi solo a te mentre, distesa sul letto a leggere un libro, mi immergo nella storia cercando di trovare sensazioni provate con te, inutilmente, perché questo è un thriller ed il nostro modo di stare insieme è improntato alla gioia.
Riscoprirmi con le labbra secche e stendervi subito un velo di burro di cacao è istintivo, ma non lo faccio per te, per rendere le mie labbra più morbide ai tuoi baci, stasera; quando saremo insieme.
Come staremo stasera?
E' sempre una sorpresa, è sempre una scoperta...
Avremo voglia di parlare di noi? Avremo voglia di raccontarci la nostra giornata?
Avremo voglia di toccarci lievemente, durante la cena, come per affermare il nostro desiderio? Avremo voglia di ritrovarci soli, nudi, con questo caldo?
Avremo voglia di dirci quelle parole d'amore che ancora non chiamiamo così, che ancora non osiamo definire, per paura di bruciare i tempi e rovinare tutto?
Ho preparato per cena, la verdura è pulita, la frutta è in fresco,
ho già in mente come disporre la tavola, ho steso la focaccia con cura,
sta lievitando dolcemente, come l'attesa (di te?) e la voglia di vederti.
Niente mi fa sentire femminile come l'attesa.
Altre volte ho atteso qualcuno con un'ansia che mi rodeva dentro, attendere te ha un altro sapore; un gioioso sapore d'intimità, come se non ci fosse nulla di più giusto, finalmente.
L'unica tensione è stare bene insieme, entrambi, sembra una cosa così scontata e invece è così nuova e allo stesso tempo semplice, semplice come tutte le cose che abbiamo fatto insieme, e le altre cose che sono diventate nuove proprio perché fatte insieme.
Sei pace nell'anima, sei tempesta nei sensi, forse è vero che stavo pensando a te.

venerdì 8 luglio 2016

Dall'altra parte








 
Ho ricevuto un libro in regalo; ha un titolo "inquieto" come il sottotitolo (che io apprezzo particolarmente), è una raccolta di racconti di vario genere, storie brevi da leggere d'un fiato che provocano emozioni forti, corredato da bellissime illustrazioni originali che faranno felici i collezionisti di fumetti.
E' un libro che non lascia indifferenti perché emerge l'animo dell'autore che mischia situazioni credibili e finali inaspettati, personaggi immaginari e vita vissuta con una tensione che riesce ad esorcizzare paure e stimolare la riflessione
e la domanda "ma potrebbe accadere realmente?"
Da affamata lettrice di storie dell'orrore e di fantascienza pensavo che non mi avrebbe colpito più di tanto invece devo dire che alla fine di alcuni di questi racconti si è talmente immersi nell'atmosfera immaginifica che si fatica a rientrare nella quotidianità.
 
 
Alcuni racconti sono spiccatamente divertenti come "La signora Miller e Dio", "Insaccato di cuoco" e "Controstoria del latino" e servono ad allentare un po' la tensione e a ricordare al lettore che c'è sempre un nuovo punto di vista (arguto ed imprevisto) per osservare la realtà.
 
C'è un racconto "Ossessione" che non poteva avere titolo più esplicativo ed insieme a "Il risveglio" e "Ombra nella nebbia" sono quelli che più potrebbero disturbare il mio sonno, in questo caso potrei rivalermi su chi mi ha regalato il libro utilizzandolo su di lui con una certa forza, potrei quindi consigliarvi di farvelo regalare per lo stesso motivo.
 
"L'arcobaleno alla fine del mondo" con le sue descrizioni di luoghi lontanissimi e particolari abitudini di vita fa venire voglia di partire zaino in spalla pieno di voglia di scoprire e conoscere ma soprattutto di "ritornare".
 
"Dall'altra parte", "Cuore di figlio", "Cuore di mamma" e "Partenogenesi" sono quelli che mi hanno sorpresa di più e li ho letti senza respirare e solo dopo un po', mi sono ricordata di chiudere la bocca.
 
I racconti di fantascienza li ho semplicemente adorati ma quello che mi è piaciuto in assoluto, più di tutti è stato "L'ultimo grido del cacciatore"; una breve traccia di vita di una piccola tribù di tempi remotissimi e sentimenti sempre attuali; di invidia e amore, valori morali e miserie umane, tra una caccia per la sopravvivenza e il districarsi tra politica e speranza per il futuro.
 
Non posso non menzionare anche "Il giudizio di Dio", da leggere per primo se siete persone che hanno sempre voglia di riflettere, porsi domande anche senza risposta e non prendere per oro colato tutto ciò che ci racconta, in modi diversi, il mondo intorno a noi.
Una menzione speciale per il racconto di Zagor, eroico personaggio del fumetto di cui
 l'autore del libro è sceneggiatore e curatore, nel quale gli assassini di turno
che stanno per essere fermati dallo "spirito con la scure" fanno invece una
 brutta fine per "mano" di un altro personaggio femminile che vendica
 la sua famiglia. Incredibilmente pieno di poesia nonostante
la crudezza della vicenda narrata.

sabato 2 luglio 2016

L' uomo che piantava gli alberi











Una storia breve, quasi un racconto, piena di poesia, di vita
e di speranza.
La storia di un uomo che ha perso quanto aveva di più importante al mondo;
 la famiglia e si ritira in solitudine senza resa e senza rassegnazione.
In un posto per niente accogliente, per niente ospitale
per le caratteristiche geografiche e climatiche (quasi un deserto)
vive con pochi animali e appena le risorse che possano dargli da vivere
e qualche nozione di agricoltura che poi amplierà
mettendole in pratica.
Nell'arco di 40 anni cerca e si impegna e riesce a dar vita al luogo in cui vive
 (e un nuovo senso alla sua),
fa nascere una foresta rigogliosa che attira la pioggia,
gli uccelli e piccoli animali del bosco.
Un uomo che aveva perso tutto ha regalato nuova esistenza
ad un intero altopiano, la sua generosità ha permesso ad altri uomini
di abitare quel luogo prima deserto e sono nati nuovi paesini e nuove famiglie
e persone che proteggeranno la grande foresta circondata dalle montagne.
Non meno straordinario del protagonista è colui che ne racconta la storia,
che si accorge di quella persona speciale con cui riesce ad entrare in relazione
"poiché sapeva toccare con delicatezza l'anima dei solitari" essendo
egli stesso in un periodo solitario della sua vita.
Ne scaturisce un racconto lineare e pulito, quasi una cronaca,
che non punta ad impressionare il lettore,
a questo ci pensano i disegni, le illustrazioni che corredano
il libro e che fanno riflettere quanto la storia stessa.

giovedì 16 giugno 2016

Forza da Giuseppe

Dopo un anno di lavoro, arriva questo periodo strano, periodo di bilanci, di grandi eventi e di saluti. Oltre al caldo si fanno sentire le fatiche accumulate, si comincia a fare il conto alla rovescia, si comincia a non sopportare più di vedere le solite facce e sentire lamentele varie. Tra i vari impegni c'è il seminario di chiusura dell'anno, per fare il punto della situazione e per ragionare su ciò che ci portiamo a casa... E qui intervengono i formatori, e oltre ai soliti complimenti di rito, come il loro ruolo richiede, riescono sempre ad instillare piccole gocce di fiducia e riflessioni profonde che ci ricordano il motivo per cui abbiamo scelto il nostro lavoro, e non potremmo mai accontentarci di fare di meno. O forse questo lavoro ha scelto noi, e in questo caso, non posso che essere più che onorata e orgogliosa di svolgerlo ancora con passione e riconoscenza.

martedì 7 giugno 2016

Da quando so

Di cosa dovrei vantarmi?
I miei sono solo pensieri,
sto solo fermando su carta,
ciò che pensavo ieri.
E' che se lo scrivo mi serve
come se fosse più vero,
imparo molto più in fretta se è scritto sul bianco con il nero.
Da quando so chi sono,
non ho più bisogno di dimostrarlo.
Da quando scrivo chi sono non posso più dimenticarlo.
Puoi urlare, arrabbiarti, battere i pugni,
non ho più paura che mi lasci i segni,
io segno con forza su carta e sul cuore;
pensieri dolci e precise parole
coscienza che incarna amore profondo.
L'aver superato il baratro, sola,
riempie il mio essere e ingrandisce il mio sogno,
e divento forte e senza paura
di avere di te, ancora bisogno.

sabato 4 giugno 2016

L'arte dell'attesa

So che arriverai presto
e mi preparo a riabbracciarti
sono bravissima a pregustare gli incontri.
Ho tante cose da dirti
 cose che leggerai nei miei occhi,
se prendessi nota ne riempirei un testo,
per non dimenticarle,
 per non scordare i punti.
Amo quest'attesa
questo tempo sospeso
pieno di attività quotidiane
e di pensieri romantici.
E resteranno pensieri
perché quando saremo insieme
so già come sarà tra noi:
la mia pelle vuole sentire la tua
la tua bocca vuole stare sulla mia
le nostre mani si cercheranno
perdendosi lungo il corpo.
Parole e risate sapranno farsi spazio
tra sensazioni e sospiri
tra momenti d'incanto.
I pensieri romantici tra noi esistono
solo quando siamo distanti,
quando siamo insieme; immersi uno nell'altro,
prevale la parte di noi più carnale
con cui amare e celebrare la vita.


mercoledì 1 giugno 2016

Maga Lenticchia

Maga Lenticchia, signori, che coraggio!
Ha steso i panni fuori, ora che è maggio!
Ha aperto la finestra e c'era il sole
il tempo di girarsi ed ecco l'acquazzone.
 
Maga Lenticchia sa sempre come fare
chiunque glielo dica non sta ad ascoltare,
solleva il mestolo che fa la magia
"gira rigira e vola via".
 
La sua testardaggine è ormai risaputa
in tutto il regno e nell'isola turchese,
nulla ferma la sua scopa fasciuta
alla scoperta di ogni paese.
 
Il suo unicorno si è già rassegnato
a casa spesso rimane da solo,
maga Lenticchia sceglie il Libromatto
da portar con sé in ogni suo volo.
 
E non dimentica mai una matita
per scrivere appunti, pensieri e disegni
non ha più paura, non è mai risentita
da che' si diverte con i suoi vari impegni.
 
Non sa cosa cerca; prova tutto, è curiosa
vuole conoscere, cercar di capire
sperimenta ricette, magie, ogni cosa
che sulla sua strada possa scoprire.
 
Non vi dico poi quando fa pulizia
unicorno Mansueto nasconde in cantina
ogni cosa possa esser buttata via
dal gesto impulsivo della dolce donnina.
 
Quando in cucina gira il minestrone
parla da sola e pare assai contenta
 canta a voce alta un'allegra canzone
nell'aria un profumo di zucca e di menta.
 
Unicorno sa quando è pronto il mangiare;
Lenticchia suona una campana con forza
ovunque egli si possa trovare
è un suono che alcuna distanza smorza.
 
E' dentro di sé, la sente nel cuore
la voce della cara maga Lenticchia
a volte succede che dorma per ore
ma se ha bisogno accorre senza fatica.
 
 
 
 
 
 


mercoledì 4 maggio 2016

Medusina

La piccola medusa si guardò intorno, aveva appena finito di
mangiare e osservava beata i raggi del sole che entravano
in acqua riflettendo mille colori.
Lentamente  cercò di avvicinarsi ai suoi amici, si era distratta
per mangiare e la corrente l'aveva trascinata lontano.
 Li vedeva scherzare tra loro, tirarsi i tentacoli, darsi le
testate come facevano sempre ma non riusciva a raggiungerli;
come al solito aveva mangiato troppo!
I grandi la ammonivano spesso:- Non esagerare, guarda che
se mangi troppo non riuscirai più a farti trasportare...-
Esasperando le conseguenze per farla spaventare.
Una volta, addirittura, Medusaviola le aveva detto che se
avesse mangiato troppo sarebbe rimasta indietro, avrebbe
perso “lo stormo” e la terribile palla marina Mannara
l'avrebbe catturata con facilità. Lei non aveva mai sentito
parlare prima della palla marina Mannara e così cominciò a
chiedere in giro, con noncuranza, facendo domande all'uno
e all'altro per non dare a vedere che aveva paura.
Alle sue domande, qualcuno ridacchiava, qualcuno le diceva
di tenere gli occhi aperti e altri le dicevano che non era
poi così terribile.  I piccoli come lei la temevano, temevano
di essere inglobate dai suoi peli ispidi e trascinate a riva
con forza tale da restare sulla sabbia; seccate.
Medusina cercava di farsi coraggio ma, quando era buio,
stava ben attenta a non allontanarsi dai tentacoli dei suoi
genitori che l'abbracciavano dolcemente. A volte aveva
incontrato delle palle marine nel suo vagabondare sotto
costa ma erano tutte piuttosto piccole, malconce e per
nulla spaventose.
 
Adesso le sue amiche erano un po' più vicine, riusciva
quasi a sentirne i delicati sbuffi e risucchi melodiosi e i
divertenti “plop” di quando sbattevano l'una contro l'altra.
 Però si  stavano avvicinando troppo alla riva quelle piccole
incoscienti, Medusina provò a chiamarle ma le uscì solo un
grosso borbottio dovuto alla digestione. Niente da fare,
nessuno si accorgeva di lei, provò anche a fare dei gesti con
i piccoli tentacolini cangianti ma li sentiva goffi e pesanti e
nessuno la notava. Il gruppo delle piccole meduse cominciò
a confondersi con la spuma delle onde, ora le vedeva, ora
non le vedeva. Il mare era leggermente increspato e le
sparpagliava alla deriva tra bolle, legni, rifiuti di quegli
 strani animali opachi ed imprevedibili e tante palle marine.
Medusina cercava in ogni modo di tornare al largo ma la
corrente era forte e la spiaggia era sempre più vicina,
iniziò a temere di aver perso lo stormo. Allora si accorse
di un'ombra minacciosa che le si avvicinava; grossa, rotonda,
ricoperta di crini duri e disordinati, era proprio la sua paura
più grande: la palla marina Mannara!
Questa si avvicinava con fare minaccioso, di sicuro non
aveva buone intenzioni nei suoi confronti. Medusina provò
ad allungare un tentacolo per urticarla od allontanarla ma
sembrava dura come la scorza di razza.
Ormai Mannara le era addosso, lei aveva lanciato già tre
tentacoli avvolgendola per bruciarla ovunque ma quella andava
avanti senza farci caso, come se non sentisse dolore. Invece
lei si sentiva pungere dappertutto, anche sotto al cappello,
dove era più morbida.
 
Due tentacolini si erano tagliati con l'attrito e gliene
restavano solo tre con cui provare a remare lontano ma
 Mannara non la lasciava anzi le premeva sempre di
più addosso. Cercava di infilarle i peli ispidi dappertutto,
voleva trasformare anche lei in una orribile e vorace palla
marina. Ad un certo punto passarono sopra un cespuglio di
poseidonia verde, fresca, che ondeggiava le sue foglie in
favore della corrente e Medusina pensò di aggrapparsi ad
essa per provare a salvarsi. Con grande fatica riuscì a
staccare, uno alla volta, dal corpo della palla marina i suoi arti
 irritati dalle numerose punture e con un bel respiro cercò di scendere un po' più giù; nel blu.
La manovra distrasse Mannara che irrigidì per un attimo i peli,
come le vibrisse di un pesce gatto, e Medusina riuscì ad
aggrapparsi con tutte le sue forze alle alghe verdi che le solleticavano la pancia. La terribile palla marina non potè fare
altro che  passare oltre con il formarsi di un piccolo vortice di schiuma . Medusina continuò a tenersi stretta stretta, con gli
occhi chiusi, tremante di paura ma ormai salva. Poi si sentì
chiamare, lo stormo l'aspettava, le meduse più vicine si erano accorte di tutte e avevano dato l'allarme. Avevano formato un
enorme “tappeto” allungando tentacoli in ogni direzione per
restare unite le une alle altre.
Medusina non aveva mai visto niente di più bello e dai pori del
suo cappello cominciò ad uscire qualcosa di liquido e
trasparente, leggermente salato, che lavò via tutta la paura.
 Sul suo viso comparve un sorriso di vera felicità, allungò un tentacolino verso il tappeto di meduse e aspettò la corrente
giusta per ricongiungersi alla sua famiglia.
 
Restarono unite così,
intonando un canto di gioia, tutte insieme,
 fino a che furono di nuovo al largo.