martedì 14 aprile 2020

La pandemia è solo una fase

Il primo mese di clausura è passato, tra l'incredulità per ogni nuova restrizione e il desiderio di piangere sempre latente, sempre sul bordo, pronto ad afferrare una parola di troppo o di meno per strabordare.
Siamo ancora in salita, non si vede nessuno sbocco di libertà, nessuna prospettiva di apertura, nessuna idea veramente costruttiva da parte del governo. Le persone continuano a morire e a finire in ospedale e quelli che stanno peggio sono proprio gli operatori, medici, infermieri e altre professionalità che vi girano attorno.
Come reagire a questa tragedia?
Lamentandosi, lamentandosi di chi si lamenta, imprecando semplicemente?
Esco spesso con il cane per passeggiate regimentate come distanza, e ho dovuto accontentarmi della via anziché del parco, per ordinanza del sindaco che ritiene ci si assembri di più nel verde piuttosto che davanti a casa. Domani scendo e disperdo tutte le zanzare, e anche le formiche volanti, e se arrivano i vigili gli dico che stavo evitando gli assembramenti.
Il terzo lunedì di quarantena mi sveglio e mi rendo conto che è il primo giorno che non sento di avere le lacrime pronte a sbordare. Mi illudo che andrà tutto bene e che finirà presto ma i dati continuano ad essere preoccupanti.
 Ogni sera la protezione civile fa questo giochino macabro, la lettura dei numeri dei nuovi contagi e dei nuovi morti, all'inizio tralascia proprio le guarigioni perché non fanno notizia. Smetto di seguirli dopo i primi giorni perché mi rendo conto che quelle conferenze stampa aumentano l'angoscia, approfitto di quell'orario per portare fuori il cane, immagino che siano tutti davanti alla tv e non dietro i vetri a spiare chi esce.
Mio zio che stava a Milano muore, contagiato nel circolo dei vecchietti che frequentava alla sera, c'è stata una strage in quel circolo.
Mio figlio mi fa notare che guardo troppi telegiornali e che parlano solo della pandemia e che ormai se lo sogna anche di notte, il telegiornale.
Il mio compagno è bloccato in città perché lui continua ad andare in ufficio, per fortuna abbiamo le videochiamate così continuiamo a vederci. Salutarci quella sera è stato tremendo, sapevamo che non ci saremmo più visti per chissà quanti giorni, è stata quella la cosa più dura, staccarsi da lui brutalmente, senza prospettive, senza un appuntamento futuro.
Nei momenti di forte dolore pare che ci siano delle fasi da attraversare, la negazione, la rabbia, l'angoscia, l'accettazione, che è l'inizio della guarigione. Ecco io mi sento in questa fase ora, anche se mal sopporto la parola "accettazione", mi fa pensare a una sconfitta, alla disfatta della volontà.
Come si fa ad accettare questa tragedia mondiale?