mercoledì 12 febbraio 2020

Il mio recens-eroe

Il mio uomo ha una passione smodata per i libri.
Lui li ama proprio come oggetti, come strumento di conoscenza e di evasione, come feticcio da assaporare con tutti i sensi. Li ama e li accumula, non potrebbe vivere senza. Credo che, in un naufragio, cercherebbe di salvarne il più possibile, a discapito di qualche essere umano. Quando parte per un viaggio, i libri occupano i due terzi del suo bagaglio, che si tratti di uno zaino, borsone o valigia. C'è da dire che per lui, la lettura, è anche uno strumento di lavoro e non è mai motivo di litigio tra noi poiché è una passione condivisa da entrambi, ci regaliamo libri, ce li scambiamo, ce li rubiamo amichevolmente.
E' l'approccio che è diverso.
Lui ne legge tanti contemporaneamente, compresi quelli che sto leggendo io e che trova disseminati per casa in posti strategici; vicino al divano, in bagno, sul comodino. Se mi vede particolarmente interessata a qualcosa, di cui magari gli faccio un accenno, se ne impossessa subito, appena lo poso, lo legge parallelamente a me, senza segnalibro e senza perdere il filo, e se mi azzardo a riporlo nella libreria si offende tantissimo.
Perché lui non si limita a leggere e gustare storie, saggi e fumetti, no.
Lui li deve recensire.
E' la sua droga, la sua autarchia, la sua memoria storica, la sua condanna autoinflitta.
Io la vedo, quella pila di libri letti sulla scrivania, salire inesorabilmente, perché il tempo è sempre troppo poco, e c'è sempre qualcos'altro da fare, o da leggere. Osservo quell'equilibrio statico, sempre troppo statico, con qualche moto d'insofferenza. Ho già catalogato mentalmente tutti quelli che ho letto, e li avrei già posizionati nelle librerie, suddivisi ordinatamente per genere o per autore, ma no, bisogna aspettare che siano recensiti. Chissà come si sentirà l'ultimo della fila, quello più in basso, che si sente continuamente ricoprire di nuovi tomi, più o meno pesanti?
E chissà come si sentirà il primo, con un primato così fuggevole, poiché a volte capita che il grande recensore si senta ispirato da una storia posta più o meno al centro della fila, più che dall'ultimo letto?
Si sa che, perché la recensione avvenga, ci vuole una serie di congiunture positive tra tempo libero, wi-fi funzionante, voglia di scrivere e voglia di recensire.
Tanto, non è importante l'attesa, il nostro recens-eroe non dimentica neanche una virgola di tutto quello che legge.
Devo stare molto attenta a scrivere solo cose belle sul suo conto, ma questa, in realtà, non è assolutamente una difficoltà, per me.

martedì 11 febbraio 2020

La fabbrica delle parole

Anche quest'anno è stato uno spettacolo.
L'abbiamo provato per mesi, l'abbiamo sofferto, noi, quasi tutti adulti, certo non più avvezzi allo studio come i due giovanotti del gruppo. 
L'abbiamo preparato piano piano, all'inizio, sbagliando e ripetendo le parti tutte le volte che serviva. A metà corso, ancora con calma e tante risate, con l'inconsapevolezza del tempo che corre, e alla fine con una certa ansia che ha rischiato di rovinare tutto. Ma la regista era lì per noi (grazie), la creatrice di personaggi, la demiurga che tanto ci ha sostenuti quanto ci ha anche redarguiti, al bisogno, mai eccessivamente, ma abbastanza per evitare che ci adagiassimo in una falsa sicurezza. Gli adulti sono così difficili da istruire, sono pieni di sé, egoriferiti, a volte presuntuosi e incapaci di guardarsi con umiltà. Quanti "io" è capace di pronunciare un adulto in un giorno, proviamo a contare i nostri. Ma lo spettacolo è fatto dal gruppo, non dalla superstar, nessuno brilla di più, se non cercando di far funzionare bene ogni passaggio. Occorre studiare non solo la propria parte ma tutto l'insieme, ed è dannatamente complicato, occorre agevolare i vari rientri e cambi di costumi e materiali in quinta, occorre sensibilità. Ma la regista era lì (grazie), a ricordarci che a teatro bisogna essere generosi. Tra di noi, per permetterci di esprimerci al meglio, e con il pubblico (grazie) che si è scomodato una sera d'inverno per venire a vedere noi; giocare e divertirci.
Soltanto che ci si diverte davvero se ci si sente accolti, rispettati, se si sente intorno la generosità di ognuno. Fare teatro non è per tutti, non per chi vuole solo esibirsi, è raccontare una storia con tutto il proprio essere, al massimo della generosità.