martedì 11 febbraio 2020

La fabbrica delle parole

Anche quest'anno è stato uno spettacolo.
L'abbiamo provato per mesi, l'abbiamo sofferto, noi, quasi tutti adulti, certo non più avvezzi allo studio come i due giovanotti del gruppo. 
L'abbiamo preparato piano piano, all'inizio, sbagliando e ripetendo le parti tutte le volte che serviva. A metà corso, ancora con calma e tante risate, con l'inconsapevolezza del tempo che corre, e alla fine con una certa ansia che ha rischiato di rovinare tutto. Ma la regista era lì per noi (grazie), la creatrice di personaggi, la demiurga che tanto ci ha sostenuti quanto ci ha anche redarguiti, al bisogno, mai eccessivamente, ma abbastanza per evitare che ci adagiassimo in una falsa sicurezza. Gli adulti sono così difficili da istruire, sono pieni di sé, egoriferiti, a volte presuntuosi e incapaci di guardarsi con umiltà. Quanti "io" è capace di pronunciare un adulto in un giorno, proviamo a contare i nostri. Ma lo spettacolo è fatto dal gruppo, non dalla superstar, nessuno brilla di più, se non cercando di far funzionare bene ogni passaggio. Occorre studiare non solo la propria parte ma tutto l'insieme, ed è dannatamente complicato, occorre agevolare i vari rientri e cambi di costumi e materiali in quinta, occorre sensibilità. Ma la regista era lì (grazie), a ricordarci che a teatro bisogna essere generosi. Tra di noi, per permetterci di esprimerci al meglio, e con il pubblico (grazie) che si è scomodato una sera d'inverno per venire a vedere noi; giocare e divertirci.
Soltanto che ci si diverte davvero se ci si sente accolti, rispettati, se si sente intorno la generosità di ognuno. Fare teatro non è per tutti, non per chi vuole solo esibirsi, è raccontare una storia con tutto il proprio essere, al massimo della generosità.

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