martedì 30 giugno 2020

Le coincidenze e il giudizio


Vi è mai capitato di notare una serie di eventi o faccende tutte legate tra loro nell'arco di diversi giorni?
Le coincidenze di solito si limitano nel tempo o nei fatti ma a me, in questo periodo me ne sono capitate diverse, o forse le ho notate di più perché sono in vacanza.
È partito tutto dal libro che stavo leggendo; L'isola delle anime di Piergiorgio Pulixi, un gran bel romanzo ambientato nella mia Sardegna che ho scelto, come faccio spesso con gli autori sardi, prima di tornarci, stavolta in viaggio di nozze.
All'inizio di un capitolo c'era una frase che mi ha colpita tanto tratta da uno scritto di Salvatore Satta; Il giorno del giudizio, che non conoscevo e mi ha fatto nascere la curiosità sia sull'autore che sulla sua opera. Durante le mie vacanze cerco sempre di acquistare qualche libro che parla della mia terra da leggere poco prima di ritornarci e questa volta avrei preso proprio questo di  Satta, autore meno conosciuto del suo omonimo Sebastiano.
Arrivata a Oristano ho ritrovato la piccola bancarella del libraio dove andavo sempre con mio babbo e, incredibilmente, ho trovato proprio "Il giorno del giudizio", addirittura la versione critica e filologica che comprende l'originale scritto a mano con quella dattiloscritta e la comparazione tra le due e altre note esterne aggiunte a parte. 
Ovviamente se non l'avessi trovata per caso l'avrei cercata in libreria ma questa PRIMA coincidenza mi è proprio piaciuta. 
Nei giorni successivi, incontrando i miei familiari, si parlava di libri e mio cognato ha raccontato di stare leggendo con piacere e per la terza volta, proprio Il giorno del giudizio. Al che io e mio marito ci siamo stupiti molto e abbiamo risposto che lo stavamo leggendo anche noi, per la prima volta, insieme, come facciamo spesso (a turno, leggiamo un capitolo, a voce alta). Questa è la SECONDA coincidenza. 
Alcuni giorni dopo abbiamo organizzato una cena con una persona conosciuta tramite Twitter, un prete gesuita e teologo che, a un certo punto ci ha raccontato di star preparando una tesi per il suo dottorato proprio sugli aspetti religiosi dei personaggi di un libro di uno scrittore sardo. Indovinate un pò; proprio il "nostro", Il giorno del giudizio, a questa TERZA coincidenza non potevamo credere. 
Intanto i nostri giorni di vacanza a Oristano stavano finendo ed eravamo a metà del libro. Spostandoci verso est, e superato Nuoro, in cui abbiamo visitato il museo etnografico, siamo rimasti senza parole di fronte a un monte altissimo, meraviglioso, dai colori e dalla composizione dolomitica, ai cui piedi era situato il paese di Oliena. 

Con questi riferimenti ho chiesto a mia sorella che conosce bene questi luoghi, il nome del monte, che abbiamo scoperto essere il Corrasi, alto 1340 metri. La strada scendeva da Nuoro zigzagando intorno a questa bellissima montagna che abbiamo potuto osservare da più angolazioni, a bocca e occhi spalancati. 
La QUARTA coincidenza è stata trovare il monte Corrasi anche nel libro di Satta, andando avanti nella lettura, e trovarne la bellezza anche nella descrizione dell'autore, ma mi sarei stupita più di non trovarla. 
La vicenda racconta di uno dei personaggi che, in preda a una fortissima crisi esistenziale, cerca di discendere Nuoro a piedi e aggirare il monte per arrivare a un luogo che ha visitato durante la sua infanzia; definito "palma di seta" in quel di Calagonone. 
E provate a indovinare dove ci troviamo noi ora, a scrivere queste righe e a meravigliarci degli scherzi che ci fa a volte la vita, QUINTA coincidenza, si, proprio nel lungomare Palmasera, Calagonone, comune di Dorgali. 
Quanti e quali altri riferimenti riusciremo a rilevare ancora?

giovedì 25 giugno 2020

Polvere di pietra

Bella e cara, la mia terra natale, ti sono mancata?
Prima di arrivare abbiamo fatto un bel giro di avvicinamento, come se tornare subito da te fosse troppo forte, dal punto di vista emozionale. Il viaggio in nave è una sorta di purgatorio, un tumulto di apprensioni e sensazioni; sali alla sera in una città caotica, vai a dormire e ti risvegli in un altro mondo e in un altro tempo.
Alla discesa a Olbia, il panorama era sfumato dall'umidità mattutina e Tavolara nascosta da una foschia che ne velava la bellezza da scoprire poco a poco. Nel viaggio verso l'interno, tra il giallo secco delle erbe caratteristiche spiccava il verde cupo, che insiste con l'intensità per emergere anche nei periodi più arsi. L'idea era di fare una strada scorrevole, dritta verso Sassari per poi risalire con calma, ma quando ho intravisto il primo cartello per Saccargia non ho resistito alla possibilità di ammirare quell'architettura particolare, bianca e nera, e abbiamo deviato.
Ed ecco i profumi, sono arrivati dopo i colori a investirci i sensi, macchia mediterranea e terreni incolti e la basilica che emerge come la proverbiale cattedrale nel deserto. E io li capisco, quei monaci che decisero di stabirsi qui e costruire la loro vita intorno a un pozzo, indice anche di stanziamenti precedenti, per l'importanza che ha l'acqua, in Sardegna.

                        Basilica di nostra signora di Saccargia

Poi abbiamo proseguito per Castelsardo e le sue rocce marrone scuro, pieno, di colore e di vita, che risalta tra il blu del mare e il verde del cisto e del lentischio, e i fiori giallo arancio del ficodindia.
Questo marrone forte mi si è impresso per il suo farsi carico della vita di microrganismi vegetali e animali. Questa sua capacità di accogliere e trattenere colture spontanee che ne trasformano aspetto e colore e, a lungo andare, conformazione, le rende quasi "umane".

                                      Le rocce di Castelsardo 

In seguito, la gita a Stintino (Isthintini in sardo) ci ha fatto ritrovare le rocce nere a fare da cornice alla finissima sabbia bianca. Stintino timida e piena di nuvole ci ha nascosto la tavolozza di sfumature turchesi della sua acqua fresca che divide dall'Asinara ma invita a raggiungerla.

                                               La Pelosa, Stintino 

Cerchiamo altri fondali e troviamo Badesi, la forza delle sue onde spaventose si impone con un blu forte nel quale rinunciamo ad immergerci per la possibilità concreta di restarci per sempre. Anche se il mare è generoso e restituisce tutto, prima o poi. 

                                                 Li Junchi, Badesi

Decidiamo quindi di spostarci verso Isola rossa su una strada panoramica il cui verde scuro ci lascia ammirare, qua e là, meravigliosi massi rossi che danno il nome all'isoletta staccatasi dalla costa, nel corso dei secoli. L'isola in realtà è poco più di uno scoglio ma abbastanza grande e vicina alla riva da farsi ammirare e desiderare come una diva d'altri tempi. È rossa e spoglia, nessun seme portato dal vento ha potuto germogliare su di sé, emerge nel blu e il bianco della schiuma, richiama lo sguardo e i flash come se fosse irraggiungibile e ora lo è; per quanto è mosso il mare. Il tratto di costa da cui si è distaccata ha lo stesso colore ma non la sua superbia. Roccia ribelle.
                                     Isola rossa e la costa ripudiata 


                                 L'avvicinamento a Isola rossa

Al ritorno ci fermiamo alla roccia dell'elefante il cui nome deriva dalla forma che ha assunto nel corso dei millenni grazie all'erosione del vento. È rossa anch'essa e la foto più bella è fatta da dentro la tomba scavata a mano da antenati lontani nel tempo. Tra il buio dell'interno e la luminosità esterna di un giorno vicino al solstizio, viene fuori un oblò di colori e paesaggio da restare incantati.

            La roccia dell'elefante guarda tutta la valle del Coghinas

Lasciando Castelsardo seguiamo le tracce dei progenitori e ci rechiamo a visitare la ziggurat di monte D'Accoddi, esempio di protonuraghe che rispecchia la forma più semplice di costruzione nuragica, piena, con salita esterna alla torre, di base quadrata. 
Pietre scure, marroni, le stesse usate per i muretti a secco, ma più grandi. 

                   La ziggurat di monte d' Accoddi, unica in Europa 

Dopo il pranzo nella centralissima piazza d'Italia, Sassari ci offre una discesa mozzafiato tra altipiani e strapiombi subito oltre la periferia. Per riprendere la statale 131 abbiamo percorso tornanti e falsipiani come fossimo in montagna, la strada 127, detta "fumosa" o "scala di giocca" è una sorpresa inaspettata per chi ama le curve.
In tempi più spensierati ci organizzavano i rally.
Per arrivare a Oristano, l'idea era quella di percorrere la panoramica da Alghero ma dato che mio marito iniziava a dare segnali di sonnolenza, abbiamo optato per la vecchia e cara Carlo Felice. Il desiderio di arrivare presto in albergo per fare una doccia era forte ma il cartello per Sant'Ignazio mi ha trovata pronta a girare per esplorare il santuario (almeno credevo) del santo di Laconi di cui mio babbo, suo omonimo, era molto devoto. Bello questo aspetto della religione che permette a ognuno di scegliere il proprio "idolo".
Invece che a Laconi ci siamo però ritrovati in un paesino campestre nel territorio di Norbello, che viene utilizzato per le feste padronali, delizioso, con una chiesetta minuscola in un parco di querce secolari e tavoli e sedili di trachite, grigia scura.
Siamo risaliti in auto e ho promesso al mio pazientissimo uomo che non mi sarei più fermata fino a Oristano ma dopo pochi minuti abbiamo trovato l'indicazione per Santa Cristina. 
Ho giurato che avremmo visto tutto in pochi minuti ma la visita non poteva proprio aspettare. 
Si tratta di un luogo magico in cui passavamo le domeniche da piccoli, babbo ci portava là a giocare e lui intanto cercava funghi, asparagi o lumache, a seconda della stagione. Mentre facevamo il biglietto ci hanno detto che era appena partita una visita guidata e naturalmente ci siamo accodati (altro che dieci minuti per vedere tutto). 
Dopo le presentazioni con la guida che ha voluto sapere tutto di noi e dell'altra coppia, siamo scesi all'interno del pozzo sacro (prenuragico, circa 3000 anni fa) che dai ritrovamenti fatti (offerte votive, ex voto e portalumi) pare fosse un luogo di culto e pellegrinaggio per ottenere guarigione e salute.

                                    Risalita dal pozzo sacro

Oltre all'emozione di vivere una forte esperienza di appartenenza alla storia ci ha stimolato diverse domande. Come sia stato faticoso costruirlo, difficile progettarlo con gli strumenti di allora, in un'epoca tanto lontana ma in cui l'ingegno umano era già in grado di realizzare meraviglie tanto accurate e longeve.
Vicino al pozzo sacro c'è un villaggio nuragico, in parte ricostruito, in una piana piena di olivi vecchissimi cresciuti intorno al basalto grigio che caratterizza la zona. Oltre a questo, l'interesse storico è provato anche dal paesino medievale con una chiesetta intitolata a Santa Cristina. 
Come altri luoghi sacri agli dei pagani (l'acqua, la natura, la fertilità) la religione cristiana se ne è appropriata il merito, mantenendo parte del culto originario, quindi l'acqua diventa santa, Cristina come cristiana, ovvero relativa a Cristo.
Scusa amore mio, se ti ho detto che ci saremmo fermati poco tempo e invece ci siamo stati più di un'ora, ma la storia e la magia da assorbire era troppa per liquidarla in pochi minuti.
Quando vedo un cartello e mi infilo in una stradina e salto giù dalla macchina e non riesco a contenere l'entusiasmo e sembro una bambina al parco giochi, c'è una roccia che mi chiama e mi dice:- Tu sei già stata qui e fai parte di tutto questo. 
E la devo toccare, respirare, salirci sopra o andarci dentro per renderle onore.
Rosse, bianche, nere, bagnate, pulite o incrostate di vita, quanta storia raccontano le pietre della mia terra. Protagoniste di ogni panorama, per forma o dimensioni importanti o solo per il colore forte che ruba la scena alla vegetazione. Se qualcuno è polvere di stella, io credo di essere polvere di pietra.