mercoledì 20 ottobre 2021

Jokedown

 

Finalmente sono riuscito a tornare a casa. Mi ci è voluto del tempo a fare la spesa, ma ora posso stare tranquillo, ho accumulato abbastanza viveri per poter evitare di uscire per diversi mesi, certo non avrò verdura fresca a lungo, ma per questo mi posso attrezzare con il giardino interno alla villa. Non è grandissimo, ma basterà per le mie esigenze.

Janet è uscita proprio al momento giusto, quando l’esercito l’ha catturata mi è dispiaciuto, lì per lì, ma così non arriveremo a odiarci, in questa quarantena che si prospetta infinita. Per fortuna ho il mio bracco, Pedro, a farmi compagnia e a fare un minimo di guardia, senza contare che potremo andare a caccia insieme, nel bosco qui dietro, quando avrò voglia di carne fresca.

Il virus colpisce forte in tutto il mondo, e le forze dell’ordine non riescono più a tenere a bada i disperati che si aggirano in cerca di cibo, comincio a sospettare che li mettano nelle fosse comuni prima ancora che siano stati contagiati, o deceduti.

Non ho fatto altro che riempire e scaricare il furgone, l’ultimo mese prima della chiusura, ho fatto diverse puntate nei vari supermercati della zona, per non destare sospetti, prendendo al massimo quattro colli per ogni referenza. Nel mio garage sotterraneo ho già ammucchiato diversi bancali di casse d’acqua se mai l’acquedotto dovesse infettarsi. La cantina è stipata di prosciutti, salumi e forme di formaggio italiano, di quello fresco che più stagiona e più diventa buono.

La carne in scatola e il tonno arrivano fino al soffitto, e anche il passato di pomodoro. Pasta e riso hanno una scadenza lunghissima, le mie origini italiane mi faranno resistere a lungo qua dentro. E il mio istinto da accumulatore ha fatto il resto.

È stata una vera fortuna acquistare questa casa a pochi soldi da quella donna che voleva stare in città, vicino alla casa dei nipoti, agli esordi della malattia.

Non ho ancora estinto il mutuo ma per fortuna dopo i primi tre mesi di chiusura il governo ha sospeso i pagamenti, e la banca non si è più fatta sentire.

Sarà per via di quell’incendio accidentale provocato da un’auto lanciata a tutta velocità contro la filiale, la guidava un ragazzo che cercava di sfuggire alla polizia che forse voleva fermarlo per un controllo.

Comunque l’ansia dei primi giorni sembra cominciare a dissolversi e lasciare spazio a una serena rassegnazione. Qua dentro sono al sicuro, nessuno può entrare senza che io lo venga a sapere, i muri altissimi e il filo spinato in cima dovrebbero dissuadere i più, e il cartello che ho murato fuori, vicino all’ingresso, casa di riposo per anziani, dà l’idea di un luogo contaminato.

Ora mi preparo un tè e assisto all’ultimo videogiornale prima di disfarmi della tv una volta per tutte. Queste cronache continuano a mandare notizie allarmanti sui contagi internazionali e la gestione dei defunti, si è arrivati ormai alle fosse comuni anche per seppellire le ceneri. Il tablet e il telefono li ho gettati in un cestino fuori dal market, non ho più nessuno da chiamare, non voglio più sentire l’ennesima sequela di lamentazioni sui conoscenti ricoverati. I social hanno smesso di funzionare da qualche settimana, nessuno più era in grado di gestire le piattaforme neanche da remoto. L’unico modo di sapere qualcosa sarà fermando i passanti che arriveranno da queste parti, se mai ce ne saranno. Sono abbastanza fuorimano anche per chi conosce la zona. Di solito si fermano tutti molto più giù, verso il lago, dove ci sono i percorsi segnalati nel bosco. Qui la natura si fa ormai troppo selvaggia per i normali cittadini, anche per questo ho scelto questa casa per la quarantena. Diciamo che l’asocialità non è mai stata un problema per me, forse più per gli altri che non mi sopportano, ma tant’è, questa faccenda mi dà ragione.

Ho smontato la tv, non è stato facile senza romperla, ma ero proprio curioso di sapere come hanno fatto a far stare tutti i circuiti in uno spazio così ridotto rispetto ai vecchi tubi catodici, e poi devo dire che questo mi ha portato via quasi tutta la giornata e domani mi occuperò di dividere per materiale tutti i vari componenti. In garage ho ammucchiato tutti gli attrezzi e i materiali di consumo che ho potuto trovare, non si sa mai.

 Ho ammucchiato anche sacchi di semi e concime di vario tipo, ho intenzione di passare buona parte della giornata a occuparmi dell’orto, le vitamine sono importanti per combattere i malanni. Non ho intenzione di chiamare il medico per i prossimi mesi, come d’altronde non faccio quasi mai, l’ultima volta che mi ha visto era per il certificato da portare in palestra.

La palestra d’ora in poi è il mio orto. Mi sta dando grandi soddisfazioni, è da poco che ho arato e dissodato e seminato le prime piantine e si vede che hanno già attecchito.

Ho smesso di contare i giorni dall’ultima volta che sono uscito, continuo a tagliarmi la barba ma non so per quanto lo farò ancora. Credo di averla tagliata cinque o sei volte dal quel giorno, quindi sarà passato ormai un mese e mezzo. Smetterò di usare il rasoio e mi limiterò ad accorciarla con le forbici.

L’unica cosa che mi manca è il sesso, forse avrei dovuto trattenere Janet quel giorno, pensare a questa parte importante della mia vita. Potrei forse fermare qualche passante, potrei fare attenzione, mettere qualche sensore vicino al cancello o più giù, all’inizio della strada. Bene, ho un altro progetto da realizzare, la cosa più importante durante la prigionia è mantenersi vivi con un obiettivo da raggiungere.

Dopo aver montato i sensori mi sento più carico, mi avviseranno per tempo se qualcuno si avvicina alla casa, così posso lavorare la terra senza perdere ore di luce, e quando li sentirò suonare, mi farò trovare casualmente per strada con il cane, come per un consueto giro.

È proprio così che dopo non so più quanto tempo, non ho tenuto il conto dei giorni ma so per certo che sono qui da due estati, che mi ritroverò faccia a faccia con un altro essere umano, i sensori suonano, chiamo il cane con un fischio, mi precipito in casa e poi fuori, nel giardino esterno, apro il cancello, Pedro mi segue felice di questo giro estemporaneo, mi precede festoso. Ci dirigiamo velocemente giù per la strada privata per rallentare in prossimità del bivio con la provinciale, dove si vedono due figure sedute per terra, chinate a guardare qualcosa forse una cartina o un gps. Da dietro non capisco se sono uomini o donne, sono inguainati in abbigliamento tecnico fluorescente, sembrano due popstar più che escursionisti.

Pedro si avvicina con decisione, ne sentono i passi e si girano stupiti. Pare che non si aspettassero di vedere un cane o forse sono più stupiti per l’essere umano che lo segue, capelli e barba lunga, abbronzato, la pelle cotta dal sole piena di piccole rughe e di polvere aderente al corpo e ai vestiti gualciti per il sudore procurato dall’uscita improvvisa. Non sembrano due disperati, due reduci dalla più grave pandemia del millennio, sembrano usciti da una rivista patinata di quelle che leggeva la mia Janet, una vita fa.

Le guardo interdetto, sono due ragazze bellissime, almeno, il poco che emerge dagli occhiali tecnici, il berretto calcato e il foulard che protegge collo e parte del viso, non riesco quasi ad articolare parola, mi esce solo un fugace saluto.

Mi rovesciano addosso mille domande; chi sono, da dove vengo, se faccio parte di qualche antica religione e intanto che ci presentiamo le invito a casa, a prendere un tè, ho ancora diversi pacchi di biscotti da aprire. Mi seguono volentieri, con un passo da atlete e mi viene da chiedere come mai siano così attrezzate e da dove arrivino, visto che la città più vicina dista diverse miglia e se non hanno paura delle forze dell’ordine, del divieto di escursione e di assembramento.

Ma che dici, fa una, ma da quanto tempo non senti le notizie? Non so rispondere, ho smesso di contare i giorni ma solo le stagioni, e non tardano ad aggiornarmi sulle novità. Il virus terribile è stato debellato quasi subito, all’inizio dell’inverno, uno di quei ricercatori sempre chiusi in laboratorio anche senza pandemie, appena 24enne, ha avuto un esito geniale da vari esperimenti e il medicinale è stato testato senza troppi intoppi burocratici perché anche il primo ministro era stato contagiato.

Quindi c’è la cura? Ho chiesto, ancora più inebetito.

Si tesoro, mi rispondono, da almeno otto mesi.

 

Il buio in arrivo

 La sedia si riempie di felpe e maglioni

indecisa,

come ad ogni cambio delle stagioni.

Una cimice in ogni stanza

suicida,

di vivere ne ha avuto abbastanza.

Le foglie marce si fanno poltiglia

afflitte,

di colori vivaci non hanno più voglia.

L'asfalto fiorisce di pozzanghere

perplesso,

senza la forza di asciugare se stesso.

La luce si fa timorosa

svanisce,

la vita non sembra più rosa.

Il tempo prepara all'inverno

inclemente,

chiudendoci fuori dal mondo esterno.