Finalmente sono riuscito a tornare a casa. Mi ci è
voluto del tempo a fare la spesa, ma ora posso stare tranquillo, ho accumulato
abbastanza viveri per poter evitare di uscire per diversi mesi, certo non avrò
verdura fresca a lungo, ma per questo mi posso attrezzare con il giardino
interno alla villa. Non è grandissimo, ma basterà per le mie esigenze.
Janet è uscita proprio al momento giusto, quando l’esercito
l’ha catturata mi è dispiaciuto, lì per lì, ma così non arriveremo a odiarci,
in questa quarantena che si prospetta infinita. Per fortuna ho il mio bracco,
Pedro, a farmi compagnia e a fare un minimo di guardia, senza contare che
potremo andare a caccia insieme, nel bosco qui dietro, quando avrò voglia di
carne fresca.
Il virus colpisce forte in tutto il mondo, e le
forze dell’ordine non riescono più a tenere a bada i disperati che si aggirano
in cerca di cibo, comincio a sospettare che li mettano nelle fosse comuni prima
ancora che siano stati contagiati, o deceduti.
Non ho fatto altro che riempire e scaricare il
furgone, l’ultimo mese prima della chiusura, ho fatto diverse puntate nei vari
supermercati della zona, per non destare sospetti, prendendo al massimo quattro
colli per ogni referenza. Nel mio garage sotterraneo ho già ammucchiato diversi
bancali di casse d’acqua se mai l’acquedotto dovesse infettarsi. La cantina è
stipata di prosciutti, salumi e forme di formaggio italiano, di quello fresco
che più stagiona e più diventa buono.
La carne in scatola e il tonno arrivano fino al
soffitto, e anche il passato di pomodoro. Pasta e riso hanno una scadenza
lunghissima, le mie origini italiane mi faranno resistere a lungo qua dentro. E
il mio istinto da accumulatore ha fatto il resto.
È stata una vera fortuna acquistare questa casa a
pochi soldi da quella donna che voleva stare in città, vicino alla casa dei
nipoti, agli esordi della malattia.
Non ho ancora estinto il mutuo ma per fortuna dopo
i primi tre mesi di chiusura il governo ha sospeso i pagamenti, e la banca non
si è più fatta sentire.
Sarà per via di quell’incendio accidentale
provocato da un’auto lanciata a tutta velocità contro la filiale, la guidava un
ragazzo che cercava di sfuggire alla polizia che forse voleva fermarlo per un
controllo.
Comunque l’ansia dei primi giorni sembra
cominciare a dissolversi e lasciare spazio a una serena rassegnazione. Qua
dentro sono al sicuro, nessuno può entrare senza che io lo venga a sapere, i
muri altissimi e il filo spinato in cima dovrebbero dissuadere i più, e il
cartello che ho murato fuori, vicino all’ingresso, casa di riposo per anziani,
dà l’idea di un luogo contaminato.
Ora mi preparo un tè e assisto all’ultimo
videogiornale prima di disfarmi della tv una volta per tutte. Queste cronache
continuano a mandare notizie allarmanti sui contagi internazionali e la
gestione dei defunti, si è arrivati ormai alle fosse comuni anche per
seppellire le ceneri. Il tablet e il telefono li ho gettati in un cestino fuori
dal market, non ho più nessuno da chiamare, non voglio più sentire l’ennesima
sequela di lamentazioni sui conoscenti ricoverati. I social hanno smesso di
funzionare da qualche settimana, nessuno più era in grado di gestire le
piattaforme neanche da remoto. L’unico modo di sapere qualcosa sarà fermando i
passanti che arriveranno da queste parti, se mai ce ne saranno. Sono abbastanza
fuorimano anche per chi conosce la zona. Di solito si fermano tutti molto più
giù, verso il lago, dove ci sono i percorsi segnalati nel bosco. Qui la natura
si fa ormai troppo selvaggia per i normali cittadini, anche per questo ho
scelto questa casa per la quarantena. Diciamo che l’asocialità non è mai stata
un problema per me, forse più per gli altri che non mi sopportano, ma tant’è,
questa faccenda mi dà ragione.
Ho smontato la tv, non è stato facile senza
romperla, ma ero proprio curioso di sapere come hanno fatto a far stare tutti i
circuiti in uno spazio così ridotto rispetto ai vecchi tubi catodici, e poi
devo dire che questo mi ha portato via quasi tutta la giornata e domani mi
occuperò di dividere per materiale tutti i vari componenti. In garage ho
ammucchiato tutti gli attrezzi e i materiali di consumo che ho potuto trovare,
non si sa mai.
Ho
ammucchiato anche sacchi di semi e concime di vario tipo, ho intenzione di
passare buona parte della giornata a occuparmi dell’orto, le vitamine sono
importanti per combattere i malanni. Non ho intenzione di chiamare il medico
per i prossimi mesi, come d’altronde non faccio quasi mai, l’ultima volta che
mi ha visto era per il certificato da portare in palestra.
La palestra d’ora in poi è il mio orto. Mi sta
dando grandi soddisfazioni, è da poco che ho arato e dissodato e seminato le
prime piantine e si vede che hanno già attecchito.
Ho smesso di contare i giorni dall’ultima volta
che sono uscito, continuo a tagliarmi la barba ma non so per quanto lo farò
ancora. Credo di averla tagliata cinque o sei volte dal quel giorno, quindi
sarà passato ormai un mese e mezzo. Smetterò di usare il rasoio e mi limiterò
ad accorciarla con le forbici.
L’unica cosa che mi manca è il sesso, forse avrei
dovuto trattenere Janet quel giorno, pensare a questa parte importante della
mia vita. Potrei forse fermare qualche passante, potrei fare attenzione,
mettere qualche sensore vicino al cancello o più giù, all’inizio della strada.
Bene, ho un altro progetto da realizzare, la cosa più importante durante la
prigionia è mantenersi vivi con un obiettivo da raggiungere.
Dopo aver montato i sensori mi sento più carico,
mi avviseranno per tempo se qualcuno si avvicina alla casa, così posso lavorare
la terra senza perdere ore di luce, e quando li sentirò suonare, mi farò
trovare casualmente per strada con il cane, come per un consueto giro.
È proprio così che dopo non so più quanto tempo,
non ho tenuto il conto dei giorni ma so per certo che sono qui da due estati,
che mi ritroverò faccia a faccia con un altro essere umano, i sensori suonano,
chiamo il cane con un fischio, mi precipito in casa e poi fuori, nel giardino
esterno, apro il cancello, Pedro mi segue felice di questo giro estemporaneo,
mi precede festoso. Ci dirigiamo velocemente giù per la strada privata per
rallentare in prossimità del bivio con la provinciale, dove si vedono due
figure sedute per terra, chinate a guardare qualcosa forse una cartina o un
gps. Da dietro non capisco se sono uomini o donne, sono inguainati in
abbigliamento tecnico fluorescente, sembrano due popstar più che escursionisti.
Pedro si avvicina con decisione, ne sentono i
passi e si girano stupiti. Pare che non si aspettassero di vedere un cane o
forse sono più stupiti per l’essere umano che lo segue, capelli e barba lunga,
abbronzato, la pelle cotta dal sole piena di piccole rughe e di polvere
aderente al corpo e ai vestiti gualciti per il sudore procurato dall’uscita
improvvisa. Non sembrano due disperati, due reduci dalla più grave pandemia del
millennio, sembrano usciti da una rivista patinata di quelle che leggeva la mia
Janet, una vita fa.
Le guardo interdetto, sono due ragazze bellissime,
almeno, il poco che emerge dagli occhiali tecnici, il berretto calcato e il
foulard che protegge collo e parte del viso, non riesco quasi ad articolare
parola, mi esce solo un fugace saluto.
Mi rovesciano addosso mille domande; chi sono, da
dove vengo, se faccio parte di qualche antica religione e intanto che ci
presentiamo le invito a casa, a prendere un tè, ho ancora diversi pacchi di
biscotti da aprire. Mi seguono volentieri, con un passo da atlete e mi viene da
chiedere come mai siano così attrezzate e da dove arrivino, visto che la città
più vicina dista diverse miglia e se non hanno paura delle forze dell’ordine,
del divieto di escursione e di assembramento.
Ma che dici, fa una, ma da quanto tempo non senti
le notizie? Non so rispondere, ho smesso di contare i giorni ma solo le
stagioni, e non tardano ad aggiornarmi sulle novità. Il virus terribile è stato
debellato quasi subito, all’inizio dell’inverno, uno di quei ricercatori sempre
chiusi in laboratorio anche senza pandemie, appena 24enne, ha avuto un esito
geniale da vari esperimenti e il medicinale è stato testato senza troppi intoppi
burocratici perché anche il primo ministro era stato contagiato.
Quindi c’è la cura? Ho chiesto, ancora più
inebetito.
Si tesoro, mi rispondono, da almeno otto mesi.