venerdì 12 novembre 2021
Momento giusto
mercoledì 20 ottobre 2021
Jokedown
Finalmente sono riuscito a tornare a casa. Mi ci è
voluto del tempo a fare la spesa, ma ora posso stare tranquillo, ho accumulato
abbastanza viveri per poter evitare di uscire per diversi mesi, certo non avrò
verdura fresca a lungo, ma per questo mi posso attrezzare con il giardino
interno alla villa. Non è grandissimo, ma basterà per le mie esigenze.
Janet è uscita proprio al momento giusto, quando l’esercito
l’ha catturata mi è dispiaciuto, lì per lì, ma così non arriveremo a odiarci,
in questa quarantena che si prospetta infinita. Per fortuna ho il mio bracco,
Pedro, a farmi compagnia e a fare un minimo di guardia, senza contare che
potremo andare a caccia insieme, nel bosco qui dietro, quando avrò voglia di
carne fresca.
Il virus colpisce forte in tutto il mondo, e le
forze dell’ordine non riescono più a tenere a bada i disperati che si aggirano
in cerca di cibo, comincio a sospettare che li mettano nelle fosse comuni prima
ancora che siano stati contagiati, o deceduti.
Non ho fatto altro che riempire e scaricare il
furgone, l’ultimo mese prima della chiusura, ho fatto diverse puntate nei vari
supermercati della zona, per non destare sospetti, prendendo al massimo quattro
colli per ogni referenza. Nel mio garage sotterraneo ho già ammucchiato diversi
bancali di casse d’acqua se mai l’acquedotto dovesse infettarsi. La cantina è
stipata di prosciutti, salumi e forme di formaggio italiano, di quello fresco
che più stagiona e più diventa buono.
La carne in scatola e il tonno arrivano fino al
soffitto, e anche il passato di pomodoro. Pasta e riso hanno una scadenza
lunghissima, le mie origini italiane mi faranno resistere a lungo qua dentro. E
il mio istinto da accumulatore ha fatto il resto.
È stata una vera fortuna acquistare questa casa a
pochi soldi da quella donna che voleva stare in città, vicino alla casa dei
nipoti, agli esordi della malattia.
Non ho ancora estinto il mutuo ma per fortuna dopo
i primi tre mesi di chiusura il governo ha sospeso i pagamenti, e la banca non
si è più fatta sentire.
Sarà per via di quell’incendio accidentale
provocato da un’auto lanciata a tutta velocità contro la filiale, la guidava un
ragazzo che cercava di sfuggire alla polizia che forse voleva fermarlo per un
controllo.
Comunque l’ansia dei primi giorni sembra
cominciare a dissolversi e lasciare spazio a una serena rassegnazione. Qua
dentro sono al sicuro, nessuno può entrare senza che io lo venga a sapere, i
muri altissimi e il filo spinato in cima dovrebbero dissuadere i più, e il
cartello che ho murato fuori, vicino all’ingresso, casa di riposo per anziani,
dà l’idea di un luogo contaminato.
Ora mi preparo un tè e assisto all’ultimo
videogiornale prima di disfarmi della tv una volta per tutte. Queste cronache
continuano a mandare notizie allarmanti sui contagi internazionali e la
gestione dei defunti, si è arrivati ormai alle fosse comuni anche per
seppellire le ceneri. Il tablet e il telefono li ho gettati in un cestino fuori
dal market, non ho più nessuno da chiamare, non voglio più sentire l’ennesima
sequela di lamentazioni sui conoscenti ricoverati. I social hanno smesso di
funzionare da qualche settimana, nessuno più era in grado di gestire le
piattaforme neanche da remoto. L’unico modo di sapere qualcosa sarà fermando i
passanti che arriveranno da queste parti, se mai ce ne saranno. Sono abbastanza
fuorimano anche per chi conosce la zona. Di solito si fermano tutti molto più
giù, verso il lago, dove ci sono i percorsi segnalati nel bosco. Qui la natura
si fa ormai troppo selvaggia per i normali cittadini, anche per questo ho
scelto questa casa per la quarantena. Diciamo che l’asocialità non è mai stata
un problema per me, forse più per gli altri che non mi sopportano, ma tant’è,
questa faccenda mi dà ragione.
Ho smontato la tv, non è stato facile senza
romperla, ma ero proprio curioso di sapere come hanno fatto a far stare tutti i
circuiti in uno spazio così ridotto rispetto ai vecchi tubi catodici, e poi
devo dire che questo mi ha portato via quasi tutta la giornata e domani mi
occuperò di dividere per materiale tutti i vari componenti. In garage ho
ammucchiato tutti gli attrezzi e i materiali di consumo che ho potuto trovare,
non si sa mai.
Ho
ammucchiato anche sacchi di semi e concime di vario tipo, ho intenzione di
passare buona parte della giornata a occuparmi dell’orto, le vitamine sono
importanti per combattere i malanni. Non ho intenzione di chiamare il medico
per i prossimi mesi, come d’altronde non faccio quasi mai, l’ultima volta che
mi ha visto era per il certificato da portare in palestra.
La palestra d’ora in poi è il mio orto. Mi sta
dando grandi soddisfazioni, è da poco che ho arato e dissodato e seminato le
prime piantine e si vede che hanno già attecchito.
Ho smesso di contare i giorni dall’ultima volta
che sono uscito, continuo a tagliarmi la barba ma non so per quanto lo farò
ancora. Credo di averla tagliata cinque o sei volte dal quel giorno, quindi
sarà passato ormai un mese e mezzo. Smetterò di usare il rasoio e mi limiterò
ad accorciarla con le forbici.
L’unica cosa che mi manca è il sesso, forse avrei
dovuto trattenere Janet quel giorno, pensare a questa parte importante della
mia vita. Potrei forse fermare qualche passante, potrei fare attenzione,
mettere qualche sensore vicino al cancello o più giù, all’inizio della strada.
Bene, ho un altro progetto da realizzare, la cosa più importante durante la
prigionia è mantenersi vivi con un obiettivo da raggiungere.
Dopo aver montato i sensori mi sento più carico,
mi avviseranno per tempo se qualcuno si avvicina alla casa, così posso lavorare
la terra senza perdere ore di luce, e quando li sentirò suonare, mi farò
trovare casualmente per strada con il cane, come per un consueto giro.
È proprio così che dopo non so più quanto tempo,
non ho tenuto il conto dei giorni ma so per certo che sono qui da due estati,
che mi ritroverò faccia a faccia con un altro essere umano, i sensori suonano,
chiamo il cane con un fischio, mi precipito in casa e poi fuori, nel giardino
esterno, apro il cancello, Pedro mi segue felice di questo giro estemporaneo,
mi precede festoso. Ci dirigiamo velocemente giù per la strada privata per
rallentare in prossimità del bivio con la provinciale, dove si vedono due
figure sedute per terra, chinate a guardare qualcosa forse una cartina o un
gps. Da dietro non capisco se sono uomini o donne, sono inguainati in
abbigliamento tecnico fluorescente, sembrano due popstar più che escursionisti.
Pedro si avvicina con decisione, ne sentono i
passi e si girano stupiti. Pare che non si aspettassero di vedere un cane o
forse sono più stupiti per l’essere umano che lo segue, capelli e barba lunga,
abbronzato, la pelle cotta dal sole piena di piccole rughe e di polvere
aderente al corpo e ai vestiti gualciti per il sudore procurato dall’uscita
improvvisa. Non sembrano due disperati, due reduci dalla più grave pandemia del
millennio, sembrano usciti da una rivista patinata di quelle che leggeva la mia
Janet, una vita fa.
Le guardo interdetto, sono due ragazze bellissime,
almeno, il poco che emerge dagli occhiali tecnici, il berretto calcato e il
foulard che protegge collo e parte del viso, non riesco quasi ad articolare
parola, mi esce solo un fugace saluto.
Mi rovesciano addosso mille domande; chi sono, da
dove vengo, se faccio parte di qualche antica religione e intanto che ci
presentiamo le invito a casa, a prendere un tè, ho ancora diversi pacchi di
biscotti da aprire. Mi seguono volentieri, con un passo da atlete e mi viene da
chiedere come mai siano così attrezzate e da dove arrivino, visto che la città
più vicina dista diverse miglia e se non hanno paura delle forze dell’ordine,
del divieto di escursione e di assembramento.
Ma che dici, fa una, ma da quanto tempo non senti
le notizie? Non so rispondere, ho smesso di contare i giorni ma solo le
stagioni, e non tardano ad aggiornarmi sulle novità. Il virus terribile è stato
debellato quasi subito, all’inizio dell’inverno, uno di quei ricercatori sempre
chiusi in laboratorio anche senza pandemie, appena 24enne, ha avuto un esito
geniale da vari esperimenti e il medicinale è stato testato senza troppi intoppi
burocratici perché anche il primo ministro era stato contagiato.
Quindi c’è la cura? Ho chiesto, ancora più
inebetito.
Si tesoro, mi rispondono, da almeno otto mesi.
Il buio in arrivo
La sedia si riempie di felpe e maglioni
indecisa,
come ad ogni cambio delle stagioni.
Una cimice in ogni stanza
suicida,
di vivere ne ha avuto abbastanza.
Le foglie marce si fanno poltiglia
afflitte,
di colori vivaci non hanno più voglia.
L'asfalto fiorisce di pozzanghere
perplesso,
senza la forza di asciugare se stesso.
La luce si fa timorosa
svanisce,
la vita non sembra più rosa.
Il tempo prepara all'inverno
inclemente,
chiudendoci fuori dal mondo esterno.
mercoledì 4 agosto 2021
Fratello piccolo
domenica 13 giugno 2021
Lasciati sognare
domenica 11 aprile 2021
Così ti amo
Quando mi sono alzata
mille ore fa
mille fatiche fa
mille cose belle fa
avevo la stessa voglia di te che ho ora.
Sei nei miei sensi.
I nostri sospiri mi nutrono
e mi tengono viva.
I tuoi abbracci mi sostengono
pieni di calore sontuoso.
Tu sei lo specchio
e la fonte
delle mie emozioni
più segrete.
Tu sai svelarle
e rivelarle
al mio cuore e al tuo.
Così ti amo.
La principessa Rìcciola
Era una principessa bellissima. Era nata così, con gli occhi azzurri e i riccioli biondi, unica nella sua famiglia di moretti dai lineamenti dolci ma pur sempre scuri. Era delicata come la sua pelle: appena la si sfiorava, piangeva. Se si sentiva offesa, piangeva. Se qualcun altro riceveva un regalo di compleanno, piangeva. Chiara e cerulea com'era, divenne la preferita della regina, mentre il re, uomo buono, non aveva preferenze tra tutti i numerosi principini e principesse. La regina era una creatura fragile, che a volte si lasciava prendere da bassi istinti umani, più forti di lei, come succede anche alle persone solitamente giuste. L'infanzia della principessa Rìcciola passò soavemente tra i piantini e complimenti che le rendevano apparentemente più facile la vita quotidiana. Gli altri fratelli e sorelle dovettero puntare sull'ingegno, sul coraggio, sulla personalità o la dolcezza di carattere, per emergere e trovare il proprio modo di essere; faticando di più, ma ritrovandosi con una dotazione di strumenti emotivi varia e ricca. La principessa Rìcciola non poteva credere che gli altri potessero essere felici o riuscire a conquistare alcunchè senza neanche un ricciolo biondo, senza neanche una pagliuzza azzurra nei loro plebei occhi marroni o verdi. Tutto ciò che vedeva compiere agli altri, studi, mestieri, passioni, le sembrava dunque strano, sbagliato, comunque immeritato. Com'era possibile che quando arrivava lei in un luogo, il sole, tutti gli altri non si prostrassero ad amarla e osannarla solo per ricevere il dono di uno sguardo o una parola? Com'era possibile che osassero interessarsi a cose che lei non capiva, perché tanto non ne aveva bisogno o che lei non concepiva, perché la sua meravigliosa testa era già troppo impegnata a ospitare due laghetti alpini e una cascata di boccoli che si rincorrevano con giocosa grazia? Come era possibile che tutte quelle persone trovassero l'amore pur avendo una scarsissima dotazione di base? Inconcepibile! Piú ci pensava e meno si dava pace: solo lei, solo i suoi sorrisi potevano meritare attenzione, affetto e amore vero. Chi erano questi impostori che osavano fare ragionamenti arditi, lavori gratificanti e desiderati, creare arte e bellezza nei loro ambiti o addirittura formare famiglie felici? Lei, nella sua infinita bontà ne parlava con le fantesche, le dame di compagnia, le cameriere personali, che sceglieva tra la plebe meno appariscente e raffinata e che tendeva a cambiare spesso, perché aveva poca tolleranza nei confronti dei piccoli errori quotidiani che quelle anime semplici non riuscivano a evitare. Non aveva amici di lunga data, le sue simpatie duravano poco, per paura che la frequentassero solo per brillare di luce riflessa. Ma del suo dubbio persistente ne parlava con tutti, anche con un certo astio, non era eticamente e nobilmente accettabile che persone così poco attraenti dal punto di vista fisico potessero avere successo, coraggio, fama. Cercava di convincere tutti della sua bontà d'animo che si rispecchiava chiaramente nel suo aspetto, al contrario di tutte quelle persone ordinarie che in realtà dovevano essere in malafede, cattive, sicuramente assetate di gloria immotivata. Per essere più convincente ricorreva addirittura al pianto, la sua arma più affilata, sperimentata in anni e anni di onorato servizio e che quasi sempre arrivava a buon fine. In effetti le persone sensibili si lasciano spesso intenerire dal pianto altrui, anche se a volte riescono a leggere nell'animo di chi non ostenta ma custodisce con cura i propri sentimenti. Comunque sia, tanto disse e tanto pianse che riuscì a sollevare dubbi anche in persone solitamente accorte e intelligenti: lei sarebbe dovuta essere imperatrice dell'universo, con quella chioma, con quei fanali... Credeva fermamente che sarebbe stata solo questione di tempo prima che il mondo intero si rendesse conto di questa enorme ingiustizia sociale: quelli sprovvisti della dotazione estetica minima, non avrebbero meritato nessun riconoscimento personale. Ci lavorò per anni e anni, ma riuscì soltanto a portare il disaccordo all'interno della famiglia reale, a separare principi e principesse, a dividere i nipoti dagli zii, sorelle e cognati, fratelli e consorti varie. L'unica consolazione fu che il re e la regina erano già morti e non si accorsero mai dello sfacelo familiare, della perdita di fiducia che provocò nei discendenti e anche nella semplice dilapidazione di tutti i beni della famiglia, sprecati nel vano tentativo di dimostrarsi superiore.
La principessa Rìcciola si ritrovò sola, ormai pochi adoratori avevano resistito alle sue tirannie, ai suoi giochini di potere, al suo insinuare sensi di colpa urbi et orbi.
Un giorno ricevette una lettera: le veniva comunicato che, per un errore di trascrizione, il suo nome all'anagrafe era stato ricopiato male. Lei quindi non si chiamava Rìcciola, ma Ricciòla: come il pesce, ma non azzurro.
sabato 10 aprile 2021
Sei rimasta giovane
Strano e triste svegliarsi con quel senso di angoscia che lasciano i brutti sogni e rendersi conto che la tragedia è reale.
Il primo treno è in ritardo, ho i piedi congelati dopo un quarto d'ora di attesa. Mamma, sto arrivando. il secondo treno è caldo e deserto, perfetto per attraversare questo lungo tunnel di nebbia padana. ho lasciato le ricette per le medicine del cane sul letto, così mio figlio non si confonde, ho un letto scrivania, anche il cane sta male in questi giorni.
Mio marito ha notato il bagaglio leggero; è un esercizio da fare per prepararsi al cammino di Santiago. pranziamo insieme fuori dalla stazione, il cameriere, visibilmente orientale ha un meraviglioso accento meneghino. Un ragazzo, sulla navetta per l'aeroporto, ha le scarpe bianchissime nonostante la pioggia, solo a Milano riescono ad avere questo stile. L'autista magrebino della navetta bestemmia ripetutamente, ma non capisco quale Dio. #forzamamma.
Dopo l'aereo un altro treno e arrivo subito da te, dalla mia mamma trasparente, sediamo vicino alla stufa, ha gli occhi profondi e curiosi, smette di mangiare un pezzo di mela perché non le va più, non ha più il suo appetito leggendario. Copre la mela con un tovagliolo, crede che possa bastare a conservarlo bene. I vicini sanno che sta male e cercano di ingolosirla; le mandano biscotti, caffè e saluti affettuosi.
Mia mamma sta in piedi per miracolo però ha steso di nuovo tutti i panni che avevo già steso io, scusa malattia, scansati un attimo che devo far vedere a questa pivella come si stendono i panni. L'unica cura possibile è l'amore.
Ti abbraccio piano perché potresti romperti e riparto da sola chiedendoti di aspettarmi, a Pasqua. La ferrovia attraversa un Campidano verde scuro e acciaio, ricco di cardi, carciofi e altre verdure ferrose. Questo piccolo aeroporto non è mai stato così vuoto neanche quando era ancora in costruzione, sembra che arrivi da dentro e si allarghi ovunque. Fare merenda con su guttiau davanti alla vetrina delle ceramiche di artigianato è una specie di "Colazione da Tiffany" in salsa sarda.
Ma tu non mi aspetti.
Certi dolori fanno ritornare bambini. Cercare ovunque di fare qualcosa di diverso dal piangere. La nostra ultima chiacchierata, tu che quasi ti scusavi di avere un tono di voce stanco, anziché il solito spirito allegro e battagliero, così simile a quello di babbo, affinato in mezzo secolo di vita insieme.
Le tue domande sempre uguali, sempre riferite a "quel giovane", alla preoccupazione che si comportasse bene, che mi rendesse felice, perché ha proprio un'aria seria anche se è sempre divertente e pronto alla battuta e al sorriso.
La raccomandazione di coprirmi bene, perché quassù c'è freddo, mica come da te, lì c'è sempre un bel sole, un vento che asciuga subito i panni e scuote la pianta di limoni, sul quale un anno ne avevi contati cento. Lo stesso vento che fa sibilare il tetto costruito da babbo, quando è andato in pensione. I tuoi saluti alle mie amiche, e ai loro figli, amici del mio, che hai conosciuto quando avevi giocato a fare la viaggiatrice esperta e stavi con noi qualche settimana e aspettavi che tornassimo da scuola, seduta nelle panchine del parco, che tu chiamavi: quel bel giardino grande, sotto casa.
La tua promessa di comprare nuovi pacchi di caffè, perché sarei arrivata presto, la tua "caffettera", mamma, sarai sempre con me, ogni volta che ne berrò uno.
lunedì 5 aprile 2021
sabato 3 aprile 2021
Aria (e acqua) di poesia
Quando ero piccola ho scritto alcune poesie.
Una era stata pubblicata nel giornalino della scuola e la ricordo ancora quasi tutta (via Mazzini in zoccoletti), altre le avevo dimenticate e le ho ritrovate da poco in un quaderno dell'epoca. Non riuscivo a ricordare di averle scritte io, ho googlato diverse strofe prima di convincermi.
Ero appassionata di poesia e poi l'ho messa da parte a lungo. Chissà perché, forse per rincorrere le mie tante passioni. Ho ricominciato a leggerne e a scriverne da pochi anni. Ne ho ammucchiate un bel numero sul mio blog; Apprendista di emozioni.
Mio marito mi aveva fatto una sorpresa bellissima; una piccola autopubblicazione che le raccoglieva. Questo Natale mi ha regalato un meraviglioso quaderno di carta fatta a mano con la copertina rilegata in pelle, e ho cominciato a ricopiarle tutte, cercando di rispettare la cronologia. Me ne mancano ancora poche da copiare per finire il quaderno.
Alcune poesie sono nate d'impulso, le parole scorrevano fluide nei pensieri, sento ancora la stessa energia ogni volta che le leggo. Alcune sono nate dal dolore, da un certo senso di solitudine o dalla rabbia di situazioni passate. Alcune le ho modificate tante volte, altre sono nate già compiute.
Le mie preferite sono quelle che parlano di natura, pioggia, neve, mare, vento, stagioni, sono nate da sole, dall'ascolto e dalla contemplazione assorta.
Adoro stare sotto le coperte ad ascoltare gli eventi atmosferici o davanti al mare a sentirne la forza.
domenica 24 gennaio 2021
Se sai essere animale
Amo la tua bocca che mi bacia piano
amo la tua mano che così dolce mi tocca.
Amo il tuo respiro che mi scalda la pelle
volo sulle stelle e dall'alto ti ammiro.
Amo le tue braccia che mi stringono forte
ti faccio la corte e perdo la faccia.
Amo la tua pelle che mi chiama vicino
crollo sul cuscino e mi volto, ribelle.
Amo respirarti con tutti i miei pori
tu mi porti fuori senza uscire dalle parti.
Amo le tue cosce da stringere forte
neanche la sorte più grazia conosce.
Amo il tuo piacere che esplode trionfale
è l'essere animale glorifica il godere.