venerdì 8 agosto 2025

Un giro intorno

Gira gira intorno, senza pensieri,
seguendo la via di altri viaggiatori 
seguendo la scia del blu più profondo 
godendo i colori accesi del mondo 
l'aria pulita pesante di sale
scopri strapiombi, falesie, cale
ascolti il rombo furioso dell'onda
nella natura che ti circonda.
Sei un piccolo essere su questa terra 
ringrazia, gioisci, non fare la guerra 
il tempo tuo, ricordati, è breve 
godi la vita, non renderla greve
sei solo polvere, sei di passaggio 
cerca di lasciare un gentile messaggio.

mercoledì 6 agosto 2025

Ricordo d'estate



Arrivando a Torre del pozzo a piedi, lungo la  tortuosa strada bianca, non si sente il vento che arriva dal mare per via della fitta macchia mediterranea che più di qualsiasi architettura riesce a deviare le raffiche disperdendone l'energia. Il profumo dell'elicriso e del lentischio riempiono le narici e i colori forti preparano lo sguardo al contrasto tra il blu profondo e la spuma bianca delle onde.


 Arrivando in spiaggia bisogna avere cura di volgere lo sguardo a destra, verso il promontorio calcareo chiamato "balena" per le sue forme caratteristiche. Sembra proprio un cetaceo che emerge per respirare e la vecchia torre spagnola è lo sbuffo, la balena è circondata da rocce nere e taglienti che sembrano proteggerla. Prima di arrivare a queste, c'è tutta una "secca" rocciosa su cui camminare e trovare i ricci, i bocconi, e in alcuni periodi anche i cetrioli di mare. 

Ci sono poi alcune conformazioni rocciose particolari come "la zattera", perfetta per pescare a canna, e "il fossettino" e la "piscina", dentro cui poter fare i primi tuffi, se si è dei bambini coraggiosi.

 Se si guarda bene si può vedere un uomo che cammina con un ombrellone aperto, e dietro di lui tanti bambini scalzi, festanti e ciarlieri che parlano di tuffi e promettono prodezze "nell'acqua alta".
Quei bambini sono abituati a giocare sulla secca tutta la settimana, a cercare bavose e patelle nelle pozze salate, a grattare il sale con le conchiglie e a fare torri e nuraghi con i sassolini. Giocano sulle rocce e la sabbia ghiaiata, cercano belle conchiglie e "occhi di santa Lucia" che raccolgono in bottigliette di vetro, come gli ha insegnato la mamma. Fanno sempre il bagno nei fossetti e a volte, se il mare è calmo, hanno il permesso di oltrepassare la secca e poter nuotare vicino ai fratelli grandi, ma senza allontanarsi troppo. La domenica mattina però, il babbo è libero, e si può andare alla spiaggia grande, lunghissima, pericolosa, al mare aperto dove vanno sempre i turisti e quelli del continente. Il babbo non sa nuotare ma si tuffa lo stesso, quindi i bambini non si accorgono di questa mancanza. Sono bambini felici di andare ogni tanto nella spiaggia vera e di avere abbastanza acqua da poter nuotare sotto e fare tante capriole e raccontare poi tutto alla mamma, che resta sempre nelle rocce, perché è il suo posto preferito. Il viaggio a piedi è una piccola avventura, si possono osservare tutti i tipi di rocce che cambiano via via, quelle nere e lisce dove stiamo noi, quelle taglienti con i sassetti inglobati, quelle lisce più chiare più vicine alla spiaggia. Poi c'è sempre un mucchio di alghe da superare, più o meno imponente, perché i vortici le portano sempre nella curva. E poi finalmente la grande spiaggia, dura forse più il viaggio della gita stessa, perché poi i bambini si raffreddano, le dita si disitratano, le labbra diventano viola, i denti cominciano a battere. Sono bambini magri come tutti a quei tempi e in quei luoghi, sono sempre in movimento e l'alimentazione è semplice, allora il babbo richiama tutti fuori e nessuno si azzarda a protestare, si torna alle rocce.
La sensazione della sabbia che sprofonda è rimandata alla prossima domenica, forse ci sarà anche qualche zio con qualche cuginetto, perché loro ne hanno tanti. 
Si torna alle rocce, alla loro seconda casa, di cui conoscono a memoria ogni anfratto e ogni pozza ma in cui trovano sempre un nuovo legnetto portato dal mare, una conchiglia diversa dalle altre, un sassolino che, bagnato, ha una luce diversa.
Chissà se il fossettino si ricorda di tutti quei bambini che hanno imparato a nuotare grazie al senso di protezione da lui ispirato.

martedì 15 luglio 2025

Pausa

La pioggia è come un raggio
di sole 
tra le piogge di maggio. 

venerdì 11 luglio 2025

Isole

Ho letto due libri bellissimi che mi hanno fatto fare pace con il piacere della lettura, dopo mesi di saggistica e studi vari. Due romanzi, due storie familiari intense e veritiere, i cui personaggi appena accennati si rivelano pian piano scorrendo le pagine. Quasi come se si scoprissero essi stessi con il dispiegarsi delle vicende che li coinvolgono. Il primo è di Giuseppe Gusai: "Come in terra così in mare", e comincia con un evento felice e uno triste; una laurea e un funerale. Giusto il tempo di festeggiare la laurea del primogenito e i protagonisti, da Milano devono spostarsi in Sardegna, da cui il padre è partito tanti anni prima e quasi mai ritornato, per l'ultimo saluto alla nonna. Il viaggio per l'isola non è mai semplice soprattutto per un sardo che si è allontanato per ragioni familiari che solo altri sardi possono capire fino in fondo. Salvatore non racconta niente dell'accaduto ai suoi due figli ormai grandi, e quasi litiga anche con loro quando gli fanno le prime, legittime domande. In Sardegna i ragazzi scoprono una pienezza di colori, di luce e di profumi che nella grande città non avevano mai potuto osservare. Antine, il neolaureato, decide quindi di non tornare a Milano dopo il funerale ma di passare l'estate sull'isola facendo il barista per scoprire le sue origini e i motivi del grande dolore che ha tenuto lontano suo padre. Avrà così modo di conoscere suo nonno, la vita nella natura e la natura dell'animo umano, e alla fine anche il famoso segreto che nel frattempo aveva perso importanza.
Una storia intensa, bellissima, piena di lucida speranza.

Il secondo libro è di Giorgio Scerbanenco: "L'isola degli idealisti" , una storia diversa dai suoi più famosi noir cruenti con protagonista Duca Lamberti, ambientati anche questi proprio a Milano. Qui invece ci racconta di una famiglia facoltosa che vive in una minuscola isola al centro di un non specificato lago. I componenti della famiglia Reffi si possono dedicare unicamente ai propri interessi intellettuali senza dover pensare a come guadagnare la giornata, tuttavia non sono né oziosi né poco attenti al prossimo. Infatti ospitano nella villa una coppia di cugini, questi si, bisognosi di guadagnare, in attesa che essi decidano a cosa dedicarsi per vivere. Inoltre quando arrivano sull'isolotto due malviventi veri e propri, famigerati ladri di alberghi, si offrono non soltanto di ospitarli, sfidando il rischio di diventarne complici, ma addirittura di redimerli e insegnare loro uno stile di vita quantomeno onesto. La storia è bizzarra e a tratti esilarante, Scerbanenco racconta con semplicità e chiarezza la vicenda e il temperamento dei vari personaggi che si rivelano a volte ingenui e a volte machiavellici.
Il capostipite Antonio è un vecchietto che si diverte a deridere i suoi figli pur assecondandone ogni decisione, il figlio Celestino é il tipico gigante buono in più con un gran cervello e un alto livello di filantropia. La sorella Carla si diletta di scrittura di romanzi pur non avendo mai vissuto grandi avventure, al contrario del maggiordomo-tuttofare che rivela una vita segreta più frizzante di tutti gli altri.
I due cugini che appaiono inermi rispetto alle necessità pratiche della vita, si riveleranno per quello che sono ma Scerbanenco non ci racconta nulla della fine che il lettore poi gli potrebbe auspicare. 
I due ladri dovranno decidere se provare a cambiare "professione" e vocazione frequentando le quotidiane "lezioni di onestà" oppure scappare dall'isola e rischiare la galera.
Un libro perfetto, come tutti quelli di Scerbanenco, una storia che fa riflettere e cattura il lettore trasportandolo nelle atmosfere nebbiose e torbide del lago senza nome, e dell'animo umano. 

martedì 1 luglio 2025

Ti amo ma non preoccuparti

 

Dire o scrivere “ti amo” è quasi un parlare di sé.

Io” ti amo, sono io che compio l’azione dell’amare e non importa se ci sia una corrispondenza da parte dell’altra persona. Si mette in primis se stessi: io, io. Ci sono io e ho questo sentimento per te, che comunque vieni dopo di me. E’ quasi liberatorio dire, o peggio scrivere in un messaggino veloce “ti amo”, è come lasciare una responsabilità all’altro, una sorta di richiesta; io ti amo, e ora che si fa?

Si tratta di un discorso delicato, tu mi ami, d’accordo, ma non è colpa mia né merito mio, come si dovrebbe comportare?

Si potrebbe rischiare di restare invischiati in un blocco emotivo, causare un certo imbarazzo; oddio, mi si ama, come rispondere in questi casi? Forse un frettoloso: si, si, anche io potrebbe sembrare impersonale.

Personalmente preferisco utilizzare un’altra formula: sei il mio amore, questa frase mette in primo piano l’altra persona, “tu”, “tu sei” il primo pensiero, la parte più importante della frase, che poi tu sia, incidentalmente, il mio amore, è in secondo piano. In questo modo l’altro non ha alcuna responsabilità, nessun dovere di risposta e di originalità. Il suo risultare un amore diventa una cosa in più, una qualità accessoria che non appesantisce.

domenica 13 aprile 2025

Orlando

Ho letto da pochi giorni Orlando, un romanzo di formazione di Virginia Woolf, nel quale il protagonista cresce attraversando il tempo e il genere. Infatti nasce maschio, in Inghilterra, alla corte di Elisabetta 1, e per i suoi primi trent'anni esplora e sperimenta tutti i privilegi della vita di corte e del libertinaggio del genere maschile. Ha anche una quasi fidanzata che trascura per le sue varie amanti, fisse e passeggere. Poi si innamora di una giovane russa che ama vestire i panni maschili dei cosacchi e lo abbandona procurandogli una grandissima delusione. Orlando scrive poemi, poesie e pagine di un romanzo che non vuole far leggere a nessuno ma porta sempre con sé sul petto. L'amore svanito lo spinge ad accettare un incarico da ambasciatore in Turchia, dove ancora ha modo di sperimentare relazioni e trame d'amicizia amorosa con tante donne. Qui avviene un fatto misterioso; cade in un sonno che dura una settimana facendo preoccupare conoscenti e servitori, poi si sveglia donna. Orlando donna è nuovo a sé stesso (o meglio stessa), vergine di corpo e di sentimenti poiché dovrà imparare a comportarsi da donna, a gestire il suo nuovo io. Fugge dai suoi doveri e si aggrega a una comunità di pastori nomadi nella quale il ruolo femminile non è tanto circoscritto quanto quello della borghesia inglese, e cavalca libera nelle brughiere indossando i pantaloni.  Poi trova il coraggio di imbarcarsi e tornare in patria, in abiti femminili, e scopre l'effetto che fa agli uomini la sua splendida figura confezionata nei merletti e broccati migliori.
Nella pagina qui sotto la Woolf è di una sottigliezza e capacità di analisi impareggiabile. Orlando deve continuare a lottare per i suoi diritti, anche economici e trova finalmente il coraggio di far leggere il suo romanzo a qualcuno  e di vederlo poi pubblicato, e in più riesce a provare l'amore corrisposto, ma non vi dico di che genere sia. Lasciatevi incantare anche voi dalla sua storia.

martedì 12 novembre 2024

Nove 9

Dai professori universitari ci si può aspettare un compendio didattico, un articolo dotto su riviste del settore o un tomo esauriente e anche un po' pedante della materia insegnata. Non è automatico che un bravo docente riesca a risultare accattivante anche nella stesura scritta dei propri argomenti. Il caro Marco Ciardi invece, professore di storia della scienza all'università di Firenze, ci consegna una piccola deliziosa raccolta di racconti legati in modo più o meno personale, al numero nove. Innanzitutto nove sono i capitoli del libro, che ci parlano di musica, sport, fumetti, cinema e la mia amata fantascienza.

Il nove ricorre nella vita personale del professor Ciardi e nelle sue preferenze di fede calcistica, e di militanza giovanile in una squadra di Firenze, e proprio da qui nasce la sua passione per questo numero. 
In effetti è un numero del miracolo, è il quadrato di 3, simbolo della Trinità e del completamento di un ciclo, è l'ultimo e il più alto dei numeri cardinali. 
La sua importanza emerge anche dalla sua ricorrenza nelle grandi mitologie, compresa quella norrena, che viene ripresa da Tolkien nel suo "Il signore degli anelli",nel quale ritroviamo più volte il numero nove. 
Ho apprezzato molto anche il capitolo sui nove pianeti che poi però ridiventano otto per la declassificazione di Plutone, di cui Marco Ciardi ci spiega puntualmente la scoperta e l'attribuzione del nome, e l'impressione che fece scaturire nel giovane Lovecraft tanto che riuscì a inserirlo nel suo racconto "Whisperer in darkness". 
L'ultmo capitolo è davvero rivolto al futuro; "Spazio, ultima frontiera" è l'inizio della sigla della saga di Star Trek, e l'orizzonte agognato dall'uomo moderno, che anche sulla più veloce astronave o sulla più avanzata base spaziale (Deep space nine) deve fare i conti con la sua umanità. Le avventure di questi esploratori spaziali alla fine sono le stesse che sulla Terra, tese alla risoluzione di problemi di convivenza civile, tolleranza e rispetto delle incredibili diversità. 
Buona lettura.