Tornare a
scuola senza i bambini è paradossale.
Che maestra sono senza di loro?
Cosa c'è nel mio "essere
maestra" se non posso esplicitarlo nella relazione con i bambini?
Sicuramente potrei mandare avanti
la documentazione pedagogica, la nostra amata/odiata serie di fogli da riempire
per descrivere il nostro fare quotidiano, le dinamiche di relazione del nostro
gruppo di bambini e di famiglie e di lavoro.
Potrei riordinare le bacheche di
avvisi e notizie, ripensare contesti gioco e aggiornare le pagine del nostro
strumento di lavoro. Potrei condividere con le colleghe, a debita distanza, le
perplessità e le paure sulle vicende che ci coinvolgono tutti. Come cittadini,
non solo di Parma, la nostra piccola bella città capitale della cultura di
quest'anno sventurato, ma cittadini di un mondo complesso e talmente
interconnesso che "il battito di ali di un pipistrello in Cina può
scatenare un uragano" anche nella nostra cara e incauta, Italia.
Più che recriminare e cercare
ragioni, credo che la cosa migliore da fare, per il mio orgoglio da insegnante,
sia semplicemente di progettare un futuro prossimo (spero). Predisporre una
certa quantità di proposte ludiche e didattiche per riaccogliere il gruppo di
meravigliose personcine che in tutto questo tempo saranno già cresciute,
cambiate, con dei vissuti diversi dal solito.
Come è stato per tutti noi.
Ci eravamo lasciati con la promessa
di una festa di carnevale, con la preparazione delle maschere che stavano
realizzando con cura, con i colori preferiti, su misura.
Cosa avranno voglia di fare al loro
ritorno, a parte riabbracciare gli amici?
Cosa vorranno raccontarci, con le
parole o con il loro gioco?
Come rassicurarli sul fatto che
anche in questo tempo immobile abbiamo pensato a loro?
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