sabato 14 novembre 2015

#Paris

Dopo l'attentato di ieri sera, la prima sensazione è di annichilimento completo e di pena, poi sale la rabbia, cieca e sorda e magari malriposta, poi sento e leggo i commenti in rete e al telegiornale, e lentamente si diffonde la proposta di non parlarne, di dimenticare per rispetto dei morti. Ora io credo che se fosse capitato a me, non vorrei che non se ne parlasse e si dimenticasse subito questa faccenda, per timore di turbare qualcuno e per ritornare alla propria vita e per evitare le strumentalizzazioni dei politici estremisti (stesso termine che designa una parte di mondo islamico). Io vorrei invece che se  ne parlasse fino allo sfinimento, per cercare di comprendere e fare in modo che non succeda mai più, perchè mi hanno insegnato che i problemi si risolvono con il dialogo, non con le azioni di rappresaglia e violenze, il dialogo può essere più o meno animato ma il linguaggio è il modo che abbiamo per formare il nostro cervello. La rabbia non va trattenuta ma incanalata anche in un semplice messaggio se siamo persone comuni. Se c'è una cosa che ci invidiano, è proprio la libertà; di parola, di espressione, di pensiero, non potrei mai desiderare che mi si nasconda qualcosa per evitare di essere "influenzata", e mi offenderei terribilmente se tutti sottovalutessero a tal punto la mia capacità di pensare in modo autonomo da desiderare di evitare il dialogo.
 I morti si ricordano, è quello che facciamo da sempre.

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